Considerato l’attualissimo successo dell’ultimo film verità “Il Ponte delle Spie” del noto regista Steven Spielberg, con un cast come Tom Hanks, Mark Rylance, Amy Ryan, Sebastian Koch, Alan Alda, ed altri, non potevo mancare nel partecipare a questa Comunità d’Intelligence la mia Analisi su una delle Spie davvero più importanti della Storia: Rudolf Ivanovich ABEL. Questa analisi riguarderà un fuoriclasse della c.d. Linea “N” del KGB (ora SVR), poiché il caso è abbastanza complesso l’Analisi sarà piuttosto lunga ed articolata. Cercherò di rendere la lettura il più scorrevole possibile.
Gavino Raoul Piras
– Colui che la stampa mondiale avrebbe definito un maestro dello spionaggio è generalmente conosciuto sotto l’identità di Rudolf Abel. Figlio unico di funzionari, si è dimostrato come un allievo coscienzioso, con molto talento per le lingue. E’ stato Professore a Mosca, dove ha insegnato inglese e tedesco. Si è sposato a 25 anni ed in questo periodo è transitato nei Servizi Speciali sovietici.
Agli inizi era al Centro di Addestramento dell’intelligence russo dove insegnava inglese. Poi ha compiuto alcune missioni in Germania. Durante la seconda guerra mondiale era Addetto alle informazioni. Sul fronte partecipò a diverse operazioni e si meritò un encomio. Quando la Germania si arrese rivestiva il grado di Maggiore nell’ex NKVD (poi KGB).
Venne allora prescelto per diventare un “residente illegale” negli USA. Nel 1946 Abel fu mandato dall’intelligence russa in un campo profughi della Germania Occidentale. Li visse sotto l’identità di Andrew Kayotis. Ottenuto il permesso di emigrare in Canada vi giunse nel 1947.
Grazie a documenti canadesi perfettamente in regola. Abel penetrò nel territorio americano senza difficoltà. Per parecchi mesi viaggiò nel Nord-Ovest. Arrivò fino alla California. Esercitò diversi mestieri e perfeziono il suo inglese e s’impratichì di tutto ciò che riguardava lo stile di vita degli americani.
Arrivò a New York a metà del 1950. Li frequentò alberghi modesti e si fece alcuni amici, che sceglieva per la loro indifferenza alla politica e perché erano pittori come lui. Ad essi chiedeva diversi piaceri, ma specialmente quello di custodirgli somme in USD. Abel era un amico affascinante, che adorava parlare di pittura, di musica e di arte. Era un ottimo cuoco e un buon intenditore di vini (Bordeaux, Barbaresco ed il li raro Nepente erano i suoi preferiti). Mente acuta, carattere d’acciaio, Abel, in base ai test che dovette subire durante la prigionia, fu classificato come uomo dotato di intelligenza superiore.
L’accusa
Un mattino dell’agosto del 1957, alle ore 9,30, in USA, la moglie di un buon avvocato americano James Donovan si disperò. Nella loro casa di campagna, una telefonato aveva annunziato a suo marito che il Consiglio dell’Ordine l’aveva designato come difensore della spia russa Abel, arrestato sotto il nome di Emil Robert Goldfus, fotografo.
Tutto quello che la signora Donovan riuscì a dire fu: “Oh , No! ….”
Il presidente della corte suprema di New York si dimostrò altrettanto pessimista: “Devo dirle che, da quando John Adams ha difeso nel 1774, i soldati inglesi accusati del massacro di Boston, non c’è mai stato un avvocato incaricato di una causa tanto impopolare!”
Incoraggiato in questo modo, Donovan si recò nella cella dell’accusato. La cella era nel palazzo di giustizia di Brooklin, la spia russa era stata così descritta dalla stampa:
“volto angoloso e lungo da aristocratico …. naso pronunciato e occhi scintillanti, che fanno pensare ad uno strano uccello”. Senza dubbio Abel era stato scambiato spesso per un ebreo proprio per questo profilo ed anche per il nome che si era scelto.
Eppure l’oramai Colonnello del’intelligence russa “residente illegale” per 9 anni negli USA passava per un tizio qualsiasi.
Donovan rimase colpito dal suo abbigliamento trascurato, dal suo aspetto stanco, poco prestante.
Abel disse a Donovan che aveva messo alla porta l’avvocato precedente, il quale aveva chiesto 14 mila USD (Donovan ne voleva soltanto 10 mila), ed anche per “la sua aria astuta e le sue unghie sporche”. Donovan penso che il suo cliente si comportava da gentiluomo.
Abel aggiunse anche che il Controspionaggio dell’FBI dopo il suo arresto gli aveva offerto del denaro perché collaborasse: “Ci prendono per cani che si possono comprare!” Aveva esclamato con disprezzo.
L’avvocato cominciò a provare una certa simpatia per quel bizzarro accusato. “E? proprio un bel tipo” dichiarò. Inoltre, Donovan si era sentito a suo agio, dopo la constatazione che non si trattava di un comunista americano, un traditore, agli occhi di qualsiasi cittadino degli US, ma di un cittadino di un Paese straniero, che egli aveva servito per patriottismo. Non vi era nulla di disonorante nell’accettare di difenderlo.
Seguito da una troupe di giornalisti pieni di curiosità, Donovan andò ad ispezionare lo studio dello pseudo Emil Goldfus, In quella stanza sudicia e disordinata, materiale di pittura ammassato con quello fotografico, una diversità di scatole da conserva. L’avvocato rimase colpito dal talento di certi schizzi del suo cliente. Donovan glielo disse ad Abel, il quale rispose che sarebbe potuto diventare un buon pittore … senza le altre occupazioni alle quali si doveva occupare.
Ma ciò che doveva affascinare maggiormente Abel era un certo tipo d’uomo a cui l’artista ritornava sempre: il vagabondo, il miserabile, l’individuo senza speranze. Pare che il suo complice e delatore, Reino Hayhanen, appartenesse a questa categoria. E quando l’avvocato, stupito di constatare che una grande spia come lui avesse trascurato di osservare le misure di sicurezza proprie dello spionaggio, gli rimproverò di aver introdotto in casa sua quel personaggio, Abel protestò: “non potevo immaginare che fosse così miserabile come sembrava! Credevo che questo facesse parte del suo giuoco”.
Nonostante il trascorrere del tempo, la sensazione d’impopolarità che emanava dalla causa per cui Donovan era stato nominato d’ufficio persisteva. A scuola i ragazzi dicevano ai figli di Donovan: “allora il tuo papà difende i comunisti, a quanto pare? L’ha detto mio padre”. L’avvocato ricevette anche telefonate anonime con insulti. Ma la sua tenacia irlandese non si smentì. Anzi, egli cominciò perfino ad impuntarsi.
Le accuse rivolte contro Abel comportavano pene varianti da 5 anni di prigione (per essere penetrato negli USA senza dichiarazione al Dipartimento di Stato) alla condanna a morte (cospirazione per fornire alla Russia informazioni di carattere militare).
La principale testimonianza a carico di Abel era quella del suo collaboratore, l’insignificante Hayhanen, alias “Maki”. In seguito alla sua denunzia il colonnello Rudolf Abel, appartenente all’intelligence russa, era stato arrestato il 21 giugno del 1957, alle 7 del mattino, nell’albergo Lattham. L’agente russo occupava la stanza 839. Aveva dato il nome di Martin Collins. Quell’uomo di alta statura, dai modi cortesi, passava tuttavia inosservato in mezzo alla massa dei clienti di quell’albergo di terza categoria. Gli agenti speciali dell’FBI l’avevano condotto via, per effettuare in sua presenza una perquisizione nello studio d’artista che egli affittava a Brooklyn. In pochi minuti più di 300 oggetti erano stati sequestrati. Lo studio di Abel era un vero e proprio laboratorio tecnico dello spionaggio. Conteneva, in particolare, un generatore elettrico, un’emittente radio a onde corte, un apparecchio fotografico a sviluppo rapido ed una notevole quantità di oggetti truccati, destinati a racchiudere microfilm. Durante una perquisizione più minuziosa era stato poi scoperto un blocco di legno ricoperto di carta vetrata, su cui si facevano le punte alle matite. In blocco era cavo e conteneva un libretto di piccolo formato di 250 pagine: era il codice che serviva per cifrare i messaggi. Per ogni messaggio Abel aveva una scheda di cifratura valida per una sola volta e decifrabile mediante un codice multiplo, di cui solo la Centrale (Mosca) conosceva la chiave.
Fra i documenti di Abel gli agenti dell’FBI avevano trovato anche due certificati di nascita: uno a nome di Martin Collins, nato il 15 luglio 1897, era falso; l’altro a nome di Emil Robert Goldfus, nato il 2 agosto 1902 a New York, era quello di un bambino morto in tenera età.
Pochi giorni dopo negli uffici dell’FBI di N.Y., su ben 23 tavoli erano esposti i reperti giudiziari che accusavano la spia russa: oggetti, d’uso comune per trasportare destinati a trasportare i microfilm, come matite truccate, pennelli per barba cavi, dadi vuoti ed ovviamente gli attrezzi che servivano per fabbricarli. Abel disponeva anche di un laboratorio fotografico moderno. Esperto di fotografia era in grado di produrre dei micropoints, vale a dire ridurre un documento di un formato normale alla dimensione di una capocchia di spillo.
Oggi la nanotecnologia ha fatto passi giganteschi per trasportare e celare enormi quantità di documenti su oggetti, piattaforme e persino cloud ignari di celare informazioni delicatissime: ad esempio un quantum dots (comunemente noto come dot) è un nano cristallo semiconduttore dell’ordine di grandezza di 1 nm. molto utile per l’imaging. Immaginate di applicarlo nell’affrancatura per una cartolina dalle Maldive e spedirla a Roma direttamente alla Direzione per le Informazioni e Sicurezza (DIS) … Su questo penso che Edward Snowden, citato in un mio precedente articolo su www.embeddedagency.com fosse persona particolarmente pratica. In merito al modus operandi odierno ci fermiamo qui!
Per 2 anni, nel 1952 e nel 1953, Hayhanen era rimasto in contatto clandestino con Abel. I due si erano si erano scambiati parecchi messaggi in cifra, nell’agosto del 1954, in un cinema di periferia. Come segno di riconoscimento Hayhanen portava una cravatta regimental rosso blu ed aveva una pipa. In questo periodo lo pseudo Maki aveva incontrato più volte Svirin, un impiegato della rappresentanza sovietica a N.Y. e gli aveva consegnato bobine di microfilm.
Ma Abel si serviva con prudenza del suo assistente. Aveva poca fiducia in lui, perché si era accorto presto della sua mancanza di carattere e della sua insufficiente preparazione come spia. Tuttavia gli affidò l’incombenza di riattivare una buca morta nel parco nazionale di Bear Mountain. La buca morta conteneva la somma di 5.000 USD, che Abel destinava alla signora Helen Sobell, la moglie della spia che era stata condannata con i coniugi Rosenberg nel 1951 e che stava scontando una condanna di 30 anni di lavori forzati. Hayhanen aveva recuperato il denaro ma se l’era tenuto. Era già sulla via del tradimento.
Apro una breve analisi su chi era l’accusatore di Abel.
Reino Hayhanen è nato il 14 maggio del 1920 a Kaskosarri, un villaggio situato ad una quarantina di km da San Pietroburgo. Dopo aver fatto l’insegnante per qualche anno, era stato reclutato dall’intelligence russa nel novembre del 1939, come interprete di un gruppo operativo russo in territorio finlandese. Dopo il trattato di pace russo-finlandese, firmato il 13 marzo 1940, fu mandato in Carelia. Era membro del partito comunista. Nel 1948, in Estonia, venne istruito nella tecnica fotografica, nella pratica dell’inglese e nella meccanica automobilistica. Mosca gli fornì l’identità di Eugenio Nicola Maki, cittadino americano, nato nell’Idaho. Poi egli ritornò in Finlandia per crearsi una vera personalità sotto il nome di Maki, nel caso che fossero fatte indagini su di lui. Visse in Finlandia per due anni, lavorando come operaio. Il 3 luglio 1951 si rivolse all’ambasciata degli USA per ottenere un passaporto. Il suo CV era perfettamente costruito e tutti i suoi documenti erano in regola. Egli aveva persino sposato, pur avendo già moglie, una finlandese di 27 anni nata a Siilinjari. Non appena ricevette il permesso di recarsi negli USA, partì clandestinamente per Mosca dove venne addestrato ai sistemi di cifratura ed alle teciche fotografiche del micropoint e della mimetizzazione dei messaggi microfilmati. A New York Hayhanen commise alcuni errori. Abel lo vide per l’ultima volta, nell’ambito della sua attività, durante l’aprile del 1957. Gli operatori della CIA trovarono in lui la miglior pedina che il controspionaggio statunitense avesse avuto, dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Reino Hayhanen ritornò a New York il 4 maggio del 1957. Poi vi fu il processo Abel, con la testimonianza a carico fatta da Hayhanen.
Nel 1961 il cadavere di Hayhanen fu trovato schiacciato a bordo di un’autovettura sinistrata, su una strada della Pennsylvania. La sua morte fu rimasta avvolta dal mistero. Evidenzio che questo caso è particolarmente simile a quello che ho già citato nell’analisi degli Illegali scoperti negli USA nel 2010, laddove il Colonnello Sergey Tretyakhov (“Comrade”) subì un infarto a soli 54 anni il 13 giugno 2010: solamente due settimane prima dell’arresto dei 10 degli 11 Illegali
identificati negli USA. Se penso che in quel 14 giugno, durante una specie di corso tematico, il sottoscritto sentiva idiozie da parte di un sedicente specialista del controspionaggio (CS) che altro non era che un Colonnello verosimilmente specialista nella lotta alla criminalità organizzata …. , ancora mi inalbero per aver perso tempo prezioso della mia Vita. Considerati certi personaggi, a cui si allegano i soliti paggi e paggetti che fanno maggiori danni (un anziano e pensionato specialista del CS gli aveva definiti come giovani elefanti all’interno di cristallerie), non lamentiamoci se ora all’estero e persino nel nostro Paese gli stranieri non ci prendono sul serio in questo specifico settore.
Come comunicavano Abel ed Hayhanen?
Hayhanen corrispondeva con Abel per mezzo di “buche morte” (Dead Letter Box, DLB, vds ad es. il “Caso Rinaldi”, sempre su www.embeddedagency.com), nascondigli discreti, facili da reperire e nei quali si pongono oggetti d’aspetto insignificante, che contengono invece messaggi cifrati o altro: interstizi tra muri, mattoni vuoti, nascondigli in locali pubblici (ad es. la toilette dei Bar), punti più impensati negli abitati o in campagna. I due agenti segreti dovevano usare tutte le precauzioni possibili quando dovevano visitare, in base a precisi accordi intercorsi, le cassette postali. Bisogna però notare che anche le regole più rigide di compartimentazione qualche volta provocano degli inconvenienti che possono riuscire fatali per una rete di spionaggio.
In un interstizio di una scalinata del Prospect Park fu scoperto un messaggio microfilmato contenuto in un bullone cavo: con esso Abel chiedeva al suo subordinato il motivo di assenza a due appuntamenti. Hayhanen doveva controllare certi cartelli indicatori su cui Abel scriveva dei segni convenzionali e doveva ricercare, in periferia, dei posti adatti per impiantare stazioni radio clandestine.
Abel dovette anche insegnare al suo scadente subordinato come si costruisce una tavola speciale per materiale fotografico, non senza lamentarsi: “ Tutte queste cose, avrebbero dovute insegnartele alla Centrale (Mosca, ndr). Del resto si era indignato per il fatto che il preteso “Maki” non conosceva neanche lontanamente l’alfabeto Morse.
Perché tutte queste precauzioni? New York non è sottoposta ad una sorveglianza poliziesca molto stretta, neppure nei periodi di psicosi dello spionaggio. Chiunque può incontrarsi pubblicamente e scambiare qualche parola senza attirare l’attenzione di nessuno. Ma per Abel, ligio alla disciplina, si trattava di applicare una rigida regola dell’agente segreto: per questi il primo errore può essere anche l’ultimo.
Un giorno Abel nascose in una DLB una monetina di nickel cava, che conteneva un messaggio per Hayhanen. Questo accadeva un mese dopo l’arrivo dello pseudo Maki. Ma la moneta non arrivò mai nelle mani del destinatario, e probabilmente finì nelle tasche di un passante qualsiasi.
Il 22 giugno 1953 James Bosart, un ragazzino quattordicenne che vendeva copie del giornale “Brooklyn Eagle“, ricevette come pagamento dall’occupante di un appartamento al n° 3403 di Foster Avenue a Brooklyn (New York) un nichelino (la moneta da 5 centesimi di dollaro) che, alla sua mano, sembrava troppo leggera. Quando lo lasciò cadere, il nichelino si aprì mostrando al suo interno un microfilm con una serie di numeri. Bosart raccontò quella strana storia alla figlia di una poliziotta del New York City Police Department, la quale la raccontò a sua volta ad un investigatore che la riferì ad un agente dell’FBI. Ottenuto il nichelino ed il microfilm, l’FBI tentò per più di 4 anni di decifrare quel codice e di risalire all’identità della persona che aveva consegnato quella moneta al ragazzino, ma senza successo. I primi esami sulla moneta mostrarono che essa era stata assemblata utilizzando la parte frontale di un nichelino del 1948 con la parte posteriore di uno del periodo 1942-1945, datazione resa possibile dall’esame della lega utilizzata per forgiare la parte usata per questa metà. Il codice era composto da una sequenza di 207 numeri ognuno composto da 5 cifre, 21 dei quali erano disposti in 7 colonne ed altri 20 in 3 colonne. Il microfilm non conteneva nessuna chiave
Fu poi Hayhanen a fornire all’FBI le quattro chiavi: la parola russa “nevicata”, le prime 20 lettere di canzoni folcloristiche, una data storica ed il numero 13.
Perché Hayhanen defezionò?
La rete di Abel funzionava bene. Mosca, molto soddisfatta, aveva elevato l’agente segreto al grado di Colonnello e gli aveva concesso sei mesi di licenza. Il neo promosso, nel corso dell’estate del 1955, si era recato in Russia passando da Parigi e da Vienna. Durante la sua assenza Hayhanen aveva commesso errori tecnici uno dopo l’altro. Di ritorno a New York, Abel si accorse del pericolo che minacciava la rete ed ottenne dal Mosca che il suo assistente fosse allontanato “con dolcezza”. Così anche Hayhanen ricevette una promozione e fu invitato a prendersi un periodo di riposo in Russia.
Hayhanen, tuttavia aveva capito che Mosca avrebbe punito la sua condotta con i provvedimenti riservati abitualmente agli Agenti dei Servizi Segreti che avevano mancato al loro dovere: la morte o la deportazione. Alla fine dell’aprile del 1957, non appena giunto in Francia, aveva telefonato, secondo gli accordi, e ottenuto un appuntamento con un funzionario russo. Quest’ultimo gli aveva consegnato del denaro per il proseguimento del suo viaggio.
Il giorno dopo Hayhanen si presentò invece all’Ambasciata degli USA, per consegnarsi alla CIA. Da principio non fu preso sul serio perché gli esami rivelavano la sua instabilità di carattere ed il suo alcolismo. Ma poi, egli aveva reso noto il proprio cifrario, la faccenda mise in allarme l’intero apparato dell’intelligence statunitense, che già aveva cominciato la caccia a New York. Abel, avvertito, si preparava a fuggire. Ma era troppo tardi.

Vladimir Semichastny, chairman of the KGB, talking to Soviet intelligence officers Rudolf Abel (second from left) and Konon Molody (second from right) in …(wikipedia)
Il Processo per Abel, la “spia rossa”.
L’inchiesta rivelò che la residenza illegale di cui Abel era il responsabile era stata agevolata per trasmettere i documenti e stabilire i contatti con altri agenti, da tre Agenti russi, i quali vivevano negli USA con passaporto diplomatico: Mihail Svirin, che aveva lavorato come Segretario presso le Nazioni Unite dall’agosto del 1954 al novembre 1956; Vitali Pavlov, ex Segretario d’Ambasciata a Ottawa; Aleksandr Mihailovic Korotkov accreditato presso il Consolato Generale. Ma i tre Agenti erano rientrati nel loro Paese. Rimaneva dunque soltanto Hayhanen, il quale aveva denunziato Abel per paura.
“Una Paura ridicola”, disse Abel al suo avvocato, “perché non rischiava nient’altro che esser messo in disparte. Ma non potevo più far molto affidamento su questo individuo, che aveva abbandonato la moglie ed il suo bambino, lasciandoli a casa sua, in URSS, pe una bella bionda, una scandinava, che del resto lo trattava malissimo”.
Fatto da evidenziare è che l’arresto di Abel era stato fatto in modo irregolare e un vizio di forma può determinare la revisione di un processo, il caso di insuccesso da parte della difesa.
L’FBI pretendeva di sapere tutto su questo personaggio ed aveva avvertito Abel che l’uomo aveva confessato tutto. Ben inteso, Abel negava di aver ricevuto compiti riguardanti lo spionaggio atomico; sosteneva che il suo compito era limitato alla raccolta di informazioni di “carattere generale”, ma nulla di ciò che concerneva la Difesa. La CIA non credette neppure per un momento a questa scusa: del resto neppure lo stesso Abel dovette pensare di essere creduto. Questo faceva parte del giuoco.
L’avvocato, sapendo molto bene che la Corte Suprema non avrebbe tenuto conto dei “vizi di forma” dell’arresto, concentrò il suo attacco sulle testimonianze. Quella dello pseudo Maki prometteva di essere il pezzo forte, il punto di resistenza.
Ma i mass media, dopo la deposizione delle conclusioni davanti alla Corte Federale di Manhattan, pubblicò grandi titoli sensazionali: “La spia russa che accusa l’FBI”.
L’avvocato Donovan, continuando nel suo incarico, si incontrò con Hayhanen per saggiarne l’animo. Quest’ultimo lo ricevette nella camera di un motel, dove l’FBI aveva condotto Donovan con infinite precauzioni. Hayhanen, che sembrava terrorizzato (e non senza motivo, perché certamente il KGB aveva ordinato la sua eliminazione), rifiutò di parlare con Donovan prima del processo, Hayhanen uscì dalla stanza convinto che tutto sarebbe stato imperniato sulla sua testimonianza.
Il processo si aprì il 14 ottobre 1957.
La giuria era composta da gente modesta di Brooklyn, fra cui due casalinghe e un assistente sociale. Abel era in ordine e rasato di fresco. Manteneva una calma assoluta ed era meno nervoso del suo avvocato e dei giornalisti che brulicavano fra l’uditorio.
Il testimone Reino Hayhanen, detto Maki, fu introdotto nell’aula e interrogato. Dichiarò di essere cittadino sovietico. Appartenente al KGB, era stato mandato in Finlandia per crearsi un passato di cittadino scandinavo e di stabilirsi negli USA a scopo di spionaggio. Egli racconto in maniera confusa, ma molto interessante per gli spettatori, i particolari della vita da spia a New York. La stampa li riassunse così: “un romanzo di cappa e spada, degno di un film del terrore creato a Holywood”. Abel, evidentemente, si trovò implicato sotto il nome di Mark, e non di Emil Goldfus. Per contrastare il testimone e stancare il procuratore generale Tompkins, l’avvocato Donovan si accontentò di procedere ad un controinterrogatorio piuttosto serrato, che doveva portare il testimone a contraddirsi su particolari insignificanti.
Dopo l’udienza definita “Stato americano contro Abel”, Donovan incalzò maggiormente. Hayhanen, rivelando il suo alcolismo e la sadica brutalità di cui dava prova verso sua moglie una bionda e seducente finlandese; un giorno egli l’avevav costretta a raccogliere un filone di pane che l’uomo aveva appena comprata in una panetteria, spezzato in due e gettato per terra. Tompkins borbottò che non capiva quale interesse potesse avere, in un caso di spionaggio, una faccenda riguardante un filone di pane.
Tuttavia il presidente lasciò che Donovan proseguisse nel suo contrattacco e rilevasse che una notte la polizia era dovuta andare in cerca del testimone, colpito da una coltellata alla gamba dalla moglie. E quando Donovan interrogò Hayhanen sull’argomento dell’ubriachezza, il presidente, molto interessato, domandò allo pseudo Maki quanto potesse bere al massimo in un giorno. Ottenne soddisfazione: “mezzo litro di vodka”.
Ma questi erano soltanto giochetti ed i protagonisti non lo ignoravano. La vecchia tecnica di sereditare il testimone non toglieva nulla, in pratica, alla terribile accusa dello Stato americano: Abe, infatti, era incolpato di essersi introdotto nel suolo americano allo scopo di spiare i segreti militari ed atomici.
L’accusa aveva a disposizione un altro testimone importantissimo: il sergente Roy Rhodes, che Hayhanen non era riuscito a rintracciare, come Abel gli aveva ordinato e che l’FBI invece aveva trovato.
Rhodes, molto a disagio, si presentò e rispose all’interrogatorio basandosi sui fatti enumerati in un messaggio segreto che era stato scoperto di un bullone cavo nascosto in un pane, nella casa d Hayhanen.
Confessò di aver avuto un’avventura compromettente a Mosca, dove lavorava all’ambasciata americana a Mosca, la vigilia di Natale del 1951, proprio nel momento in cui sua moglie e la sua bambina di otto anni stavano per raggiungerlo. La ragazza con cui aveva passato la notte l’aveva fatto incontrare con un certo Bob Day, il quale l’aveva costretto, con il ricatto, a fornire informazioni e l’aveva pagato con tremila dollari.
Rhodes non era legalmente prigioniero, ma era stato messo agli arresti di rigore e obbligato a indossare abiti civili per presentarsi a testimoniare.
L’avvocato riuscì facilmente a dimostrare che tutto questo non aveva rapporto con il caso Abel; ma il presidente mise in evidenza le grandi ramificazioni dello spionaggio russo ed aggiunse con umorismo che non si trattava di un’ “associazione di malfatto rientrati in un immobile per applicarvi il fuoco”. Tuttavia non disapprovò Donovan, quando questi espresse il suo disgusto per la mentalità del sergente, che Rhodes era il “degno fratello spirituale” di Hayhanen.
Una testimonianza di tutt’altro genere sarebbe stata fornita dalla lettera a voce alta delle lettere familiari dell’accusato. Si trattava di una corrispondenza che gli stava molto a cuore, poiché egli non l’aveva distrutta, ma che non conteneva nulla di collegato allo spionaggio. Sua figlia e sua moglie gli avevano scritto per tenerlo al corrente della loro vita quotidiana ed informarlo del matrimonio della ragazza con un uomo che essa, a quanto sembrava, non amava affatto. Le due donne esprimevano il loro affetto con parole molto semplice commoventi, soprattutto la moglie, che gli parlava a lungo delle cure praticate al giardino e del cocente rimpianto che la vista della sua chitarra suscitava in lei. Fu questo l’unico momento in cui la grande Spia dimostrò un’evidente commozione: i suoi occhi si riempivano di lacrime. I giurati ed il pubblico si stupirono. Quegli americani medi, convinti che una Spia russa fosse una specie di marziani, udivano con smarrimento parole che essi stessi avrebbero potuto scrivere ad una persona cara. Il processo terminò con le arringhe della difesa. Quella di Donovan insistette sul fatto che l’accusato aveva servito fedelmente il proprio Paese, con il quale gli USA erano in buoni rapporti.
Abel fu condannato a trenta, dieci e cinque anni di prigione ed a mille e duemila dollari di multa. Le condanne alla prigionia si riducevano a trent’anni pieni; ma le multe furono mantenute a tremila dollari.
Abel aveva cinquantacinque anni giacinti del suo giardino russi di rifiorire sotto i suoi occhio, di cui sua moglie parlava tanto, non avevano nessuna possibilità.
Ma Donovan non si dichiarava vinto è proclamò la sua decisione di ricorrere in appello.
Sebbene l’Agente Russo, ricorrendo in appello, rischiasse la pena di morte d’accordo con il suo avvocato stabilì di corre il rischio.
Il 21 febbraio 1958 Rhodes fu processato a sua volta. Il suo principale accusatore fu l’eterno Hayhanen. Radiato dall’esercito, Rhodes fu condannato a cinque anni di detenzione. Abel si dichiarò indignato dall’indulgenza di quel giudizio.
L’Agente Russo si palesò da subito come prigioniero modello, insegnava francese al suo compagno di cella e si dedicava a ripetizioni di matematica, perché oltre ad essere un ottimo pittore, era anche un brillante matematico. Era anche abbonato a giornali scientifici e ben presto diventò il capo del laboratorio della sua prigione.
Il 1° maggio1960 capitò un nuovo avvenimento che riportò alla ribalta in una maniera del tutto inattesa il caso Abel, la cui condanna era stata confermata in appello. Quel giorno si rese noto nel Mondo il nome di Francis Gary Powers, un collaboratore della CIA e pilota dell’aero spia U2 catturato dai russi sul loro suolo, nei pressi di Sverdlovsk, centro dei missili antiaerei.
Powers, apparentemente trattato bene, i prigione fumava sigarette e scriveva alla moglie. Mentre Abel, nella sula cella americana, rileggeva Einstein (“per distendersi” diceva all’avvocato), il pilota rileggeva la Bibbia e scopriva Via col Vento. Il processo di Powers iniziò il 17 agosto del 1960, in un palazzo del XVIII secolo trasformato in sede sindacale. La sontuosa sala, con due fila di lampadari e di colonne, era piena di una folla mormorante. Fra il publico si poteva riconoscere Guy Burges, il principale complice di Philby, venuto li per curiosità, già gonfio per l’alcolismo che l’avrebbe presto ucciso.
In quel salone il pilota della CIA si sentì condannare ad una pena mite: 10 anni di cui solo 3 di prigione ed i rimanenti agli arresti domiciliari. Gli fu permesso di ricevere sempre la moglie (cosa negata ad Abel) ed i suoi genitori i quali fecero il viaggio vendendo il racconto alla rivista Life.
In seguito Kruscev, recatosi a New York nel settembre del 1960, dichiarò ai giornalisti: “Noi abbiamo trattato l’Agente della CIA Powers con clemenza. Voi avete ucciso sulla sedia elettrica i coniugi Rosemberg, che pure non si erano mai confessati colpevoli. Powers fra meno di tre anni è fuori di prigioni e potrà godersi la famiglia in casa per altri sette anni. Poi potrà rimpatriare.
Invece sarà liberato in meno di due anni.
In quello stesso periodo, infatti, Abel riceveva in prigione una strana lettera firmata dal padre del Pilota Powers, in cui per la prima volta si accennava alla questione di un possibile “scambio di Spie”. L’Agente Abel. Consapevole che Donovan era in Europa per lavoro, suggerì al padre Powers di prendere contatti immediati con un certo avvocato Vogel, per studiarne un’evoluzione. L’avvocato Vogel capì esattamente il sottinteso: “ora concludere un mercato poteva diventare possibile. I russi avevano trovato l’esca”.
Per gestire questo baratto di Spie senza precedenti storici nella Storia moderna, furono interessati i mass media,a anche attraverso delle lettere firmate da una “Signora Abel” che scriveva anche a Donovan. Insomma, si scatenò un entusiasmo popolare pur di far rientrare il pilota Powers in Patria.
Già nel 1961 il Ministero della Giustizia Usa non trovava la necessità di presentare alcun provvedimento di clemenza. Ma il nuovo Presidente USA J.F. Kennedy e suo fratello Robert, procuratore generale, si interessarono molto alla cosa vedendo una strategia politica di distensione. In breve, nella primavera del 1961, Donovan conobbe l’apice della sua carriera pubblica, non tanto in qualità di avvocato, quanto quella di Ambasciatore senza portafogli, con l’incarico di andar a trattare la liberazione di Powers e di un altro Agente della CIA “bruciato”: Frederic L. Pryor, di ventotto anni. Nel febbraio del 1962, Donovan si recò a Berlino-Est per trattare la liberazione dei due statunitensi con Abel. Il suo primo interlocutore, che gli sembrò subito valido e rassicurante, era il 2° Segretario dell’Ambasciata russa Siskin, il quale convenne nel rilascio di Powers per Abel, ma negò di aver sentito parlare di Pryor, né dello studente americano Marvin W. Makinen, anch’egli detenuto con l’accusa di spionaggio. Donovan si spazientì e chiarì subito che gli accordi dovevano rimanere tali, così come comunicato dalla Casa Bianca al Cremlino o, altresì sarebbe rientrato subito negli USA. Donovan si mostrò violento e fu biasimato da Washington D.C., ma tenne duro. Egli aveva capito il giuoco dei russi. Il “valore aggiunto” era esclusivamente l’Agente Abel (uno dei migliori in campo durante l’intera Guerra Fredda) e non un Pilota a contratto con la CIA o un neo Agente della Compagnia fattosi beccare nella prima circostanza.
Ma l’elemento più importante era la politica di distensione fortemente voluta da Kennedy.
Ci fu una prima complicazione da parte russa: essi non rilasciarono i tre uomini nello stesso tempo e nemmeno nello stesso luogo. Pryor doveva essere liberato al noto “Charlie Point”, passaggio che attraversa la Friedrichstrasse e Markinen avrebbe conosciuto la stessa sorte soltanto alla fine del 1963. Lo scambio dei due prigionieri più importanti Abel e Powers avrebbe avuto luogo sul Ponte di Glieniche.
E, questo, un vecchio ponte che collega le due zone di Berlino ed è diviso da una linea bianca. A destra venendo da Berlino-Ovest, si scorge un vecchio castello in cima ad una collina ed il lago circondato da fitti boschi.
Così il 10 febbraio, in una mattinata limpida e gelida, due piccoli gruppi si presentarono dalle due parti del ponte. Donovan, mettendo piede sul “Ponte della Libertà”, sapeva che a Washington D.C. erano le tre del mattino e che Kennedy attendeva una telefonava di Okay.
I due gruppi avanzavano tenendo le mani in tasca. Gli statunitensi portavano cappelli abbassati su un occhio, i russi berretti in pelliccia. Una pattuglia della Military Police girava nei dintorni, ma le guardie di Berlino-Est erano state congedate per un istante.
Abel fatto uscire dalla sua cella di Atlanta, aveva viaggiato in aereo fino a Fort Dix, dove un altro velivolo l’avevo condotto a Berlino Ovest. Quando Abel tocco la linea bianca del Ponte di Glieniche ando avanti per la sua strada, calmo, ritto sulla schiena e scomparve senza una parola con “i suoi”. Powers come superò la linea bianca si ritrovò uno dei collaboratori di Donovan che gli diede una pacca sulla spalla e gli disse: “eccoti di ritorno” .
La situazione che si creò con il ritorno di Powers, invece, fu molto imbarazzante. Si evitarono tributi, trionfi e processi. L’opinione generale era che Kennedy non avesse concluso un mercato vantaggioso. Il Procuratore Tompkins dichiarò:
“Rudolf Abel è un vero Agente dei servizi speciali russi, talentuoso e persino geniale nel campo dello spionaggio. Powers era semplicemente un pilota a contratto della CIA”.
Altri personaggi noti alla pubblica opinione si spinsero in commenti più duri nei confronti della politica di Kennedy.
Ma ne la migliore paga né tantomeno il miglior equipaggiamento tecnologico possono fare il perfetto Agente Segreto, e prima di tutto bisogna considerare e valutare il valore umano e professionale dell’Agente. I Russi avevano ben compreso questo.
In ogni modo, questo sorprendente scambio non aveva avviato le due super-potenze ad un primo disgelo, ma entrambi riconoscevano ed ufficializzavano l’esistenza dello spionaggio e, nel contempo, ne proclamavamo implicitamente la necessità.
Rudolf Abel è morto a Mosca nel 1971, dopo aver trascorso alcuni anni come Insegnante nell’Accademia del KGB. Negli anni successivi si scoprì che era inglese di nascita.
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