di Alessandro Boncio
IL NUOVO SCENARIO DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE DI MATRICE JIHADISTA
INDICE DEGLI ARGOMENTI
1. | Introduzione | pag.3 |
2. | Terrorismo individuale | pag.5 |
2.1 situazione italiana | pag.8 | |
2.2 il fenomeno dei convertiti | pag.11 | |
3. | Matrice religiosa | pag.13 |
3.1 jihad | pag.16 | |
3.2 giustificazione ideologica pag.17 | ||
4. | Reclutamento e proselitismo | pag.21 |
4.1 moschee | pag.22 | |
4.2 prigioni | pag.24 | |
4.3 reclutamento on-line | pag.27 | |
5. | Conclusioni | pag.30 |
6. | Bibliografia e riferimenti | pag |
AVVERTENZA
Le opinioni espresse, come pure gli eventuali errori ed imprecisioni presenti nel testo sono da imputare esclusivamente all’autore.
Nell’ambito della minaccia terroristica internazionale di matrice jihadista, il trend
degli ultimi anni conferma quanto già auspicato dagli ideologi più lungimiranti
della jihad globale contro il “nemico crociato e sionista” per il predominio dell’Islam
sul mondo. La nuova frontiera terroristica è infatti la frammentazione estrema del
fattore umano all’interno di quel concetto astratto che prende il nome di al-Qaeda
e che ormai cede il suo nome come brand di riconoscibilità e visibilità mediatica
per il prosieguo delle attività a favore della lotta armata internazionale.
Il movimento oggi capeggiato dal dottor Ayman al Zawahiri si è evoluto in tre
momenti temporali distinti e diversificati: una prima fase di lotta armata contro
l’invasore sovietico in Afghanistan da parte di una struttura di supporto logistico
rigidamente verticistica e paramilitare; un secondo periodo di esportazione della
jihad per conquistare nuovi territori e popoli in cui al-Qaeda si dipana come
organismo a struttura centralizzata ma con ramificazioni orizzontali e
regionalizzate (in Bosnia, Kosovo, Cecenia, Sudan, Somalia, ecc.); una terza fase,
quella attuale, di polverizzazione degli appartenenti e/o simpatizzanti del
movimento rispetto alla leadership del gruppo a cui non fanno più riferimento
diretto. In quest’ultimo stadio infatti, la struttura rimane in clandestinità a causa
delle prolungate attività investigative e di intelligence, mentre il messaggio
integralista viene comunque veicolato e gestito da Imam itineranti, ex reduci dei
campi d’addestramento di Peshawar, jihadisti passati per l’Afghanistan e l’Iraq,
ma soprattutto attraverso il circuito mediatico-digitale grazie al quale tutti oggi
possono essere raggiunti anche a casa, senza la necessità di avere una moschea o
un centro culturale a fare da volano per l’attività di indottrinamento e proselitismo.
Il fenomeno dei fondamentalisti “homegrown1″
è ormai una delle realtà più solide
su cui poggia il gruppo di al-Qaeda; fattori spirituali e culturali, risposta a problematiche contingenti dei paesi occidentali (andamento economico, sociale e demografico), nonché la corruzione presente in diverse strutture pubbliche e private,
comportano una sempre crescente frustrazione della popolazione
giovanile; terreno fertile per attività di proselitismo che esaltano il messaggio Coranico e la rettitudine di chi si abbandona alla religione del Profeta.
(1 Letteralmente traducibile come “cresciuti in casa”, sono i fondamentalisti che studiano e si formano in proprio.)
Il concetto stesso di jihad viene quindi modificato ed adattato dagli stessi ideologi dello scontro armato contro l’occidente rispetto alla interpretazione originale fornita dal Profeta. Jihad non significa infatti guerra santa o giusta, ma letteralmente “lotta” o “sforzo”; quando è accompagnata dalla frase fi sabil Allah (sulla via di Dio), jihad significa combattere sulla via di Dio. La jihad si divide in interna (o jihad maggiore, quella combattuta contro i nostri istinti più bassi alla ricerca di una purificazione spirituale) ed esterna (quella rivolta contro i “nemici” dell’Islam data dalla lotta per riportare ad Allah tutte le persone che si sono allontanate dalla retta via).
Lo scopo degli ideologi jihadisti è quello di porre l’accento sul dovere della comunità intera (fard kifaya) di combattere l’empietà e riportare l’Islam a regnare sul mondo intero, al punto che alcune interpretazioni estremistiche dei fondamenti della religione islamica comprendono la jihad tra i pilastri fondanti la fede2.
L’entrata di al-Qaeda, probabilmente secondo le intenzioni dei suoi stessi ideologi, in una fase di spontaneismo armato e di diffusione molecolare del terrorismo e la chiamata universale alla jihad sembra obbedire ad una logica di decentralizzazione funzionale e di dispersione spaziale, ossia trasferendo in “periferia” quasi tutti i compiti operativi, logistici e finanziari, e lasciando al “centro” soltanto le funzioni propagandistiche dell’ideologia del salafismo jihadista.
Questo non significa che il gruppo abbia rinunciato alla propria vocazione strategico-operativa e ideologica a livello centrale, quanto piuttosto che la base jihadista sta attualmente concentrando le proprie energie progettuali e la maggior parte delle azioni terroristiche all’interno di specifici contesti regionali di
particolare significato geopolitico.
2 I cinque pilastri della fede sono la Shahada o professione di fede, la Salat o adorazione formale rappresentata dalle cinque preghiere giornaliere, l’Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca che ogni devoto deve compiere almeno una volta nella vita, la Zakat o elemosina legale ed il Sawm, digiuno e purificazione durante il mese di Ramadan
2. TERRORISMO INDIVIDUALE
Sono pochi i tratti comuni tra i terroristi ispirati da al-Qaeda che negli ultimi anni hanno colpito/tentato di colpire i territori e gli interessi occidentali, e sono comunque elementi di differenziazione rispetto ai “terroristi di prima generazione”. Oggi non parliamo infatti di soggetti che si mostrano come devoti musulmani; non sono persone che hanno lasciato una società araba fondamentalista e dilaniata dalla guerra per attaccare l’occidente; la maggior parte di essi ha solo remoti legami con i paesi delle loro radici.
Questi giovani globalizzati, possono essere innanzitutto accomunati dall’appartenenza e l’identificazione con una Ummah3 musulmana virtuale e immaginaria. Le loro vite spesso si dipanano lungo un ipotetico triangolo: paese arabo d’origine delle loro famiglie, nazione occidentale d’adozione della famiglia in cui crescono, ed infine il luogo cui rivolgono lo sguardo alimentando il processo di radicalizzazione (luoghi in cui infuriano i conflitti per la jihad).
In realtà, il Pakistan, lo Yemen, l’Afghanistan, la Cecenia non rappresentano i luoghi chiave della radicalizzazione della nuova generazione di terroristi di “casa nostra”; questi rivolgono le loro attenzioni a quelle nazioni dopo essersi radicalizzati in occidente o in un ambiente occidentale. E tale processo non avviene in una concreta prassi politica con persone reali ed attraverso un dibattito, bensì in un’esperienza solitaria di una comunità virtuale e fittizia: la Ummah sul web.
La rabbia che esprimono e che viene incanalata nella radicalizzazione e nell’estremismo fino a sfociare in atti di violenza, non è espressione del risentimento di una comunità reale, bensì virtuale. La maggior parte di questi soggetti ha rotto con la propria famiglia o si è estraniata da essa. Il loro è un Islam ricostruito, non tramandato dal passato. Essi non fanno mai riferimento all’Islam tradizionale; non menzionano fatawa4 di religiosi ufficiali. Agiscono a
livello individuale e al di fuori dei consueti vincoli comunitari (famiglia, moschee e
3 Il concetto di Ummah identifica la comunità Islamica nel suo complesso senza distinzioni territoriali, di confini o di
regimi governativi. Il fine dell’Islam è quello dell’unificazione della Ummah sotto la guida di Allah.
4 Le fatawa (sing. fatwa) sono editti emessi da un’autorità religiosa che regolano i comportamenti da seguire, considerati obbligatori per il musulmano. Celebre la fatwa emessa dall’Ayatollah Khomeini nei confronti di Salman
Rushdie colpevole di apostasia e quindi condannato a morte per la pubblicazione del suo libro “i versetti satanici”
(riferiti al Corano).
associazioni islamiche), e tengono solitamente le distanze da qualsiasi gruppo comunitario. Sono viaggiatori solitari non coinvolti nell’azione sociale o politica, e neppure nella predicazione religiosa. Trovano occasione di socializzazione nel legame personale con degli alter ego attraverso le chat sul web, i forum jihadisti che annullano le distanze e permettono una predicazione pressoché universale. Questo nuovo fenomeno di terroristi singoli ed autodidatti, spesso con disagi emotivi e mentali e quindi al di fuori del controllo da parte dei gruppi terroristici che operano invece secondo una rigida regolamentazione e disciplina, obbligano le forze dell’ordine a prevedere nuovi scenari operativi; questi soggetti sono incoraggiati a perseguire una jihad personale da estremisti che li utilizzano come veicolo di lotta sganciato da progettualità superiori e centralizzate, indirizzando la rabbia ed il disagio di persone che hanno fallito un’integrazione che oggi diventa sempre più difficile a causa di fattori sociali ed economici contingenti.
In tutta Europa le forze di polizia si stanno confrontando con questa nuova prospettiva di un terrorismo composto da singoli individui, solitamente non attivi in termini di attività criminali e quindi più difficili da individuare ed attenzionare; persone che fanno parte del tessuto sociale, che vestono e si comportano come occidentali, che non si presentano regolarmente alla preghiera del venerdì e non si intrattengono pubblicamente in discussioni politiche o religiose. Il processo che gli fornisce lo status di shahid5 passa attraverso la frustrazione e il crescente disagio per la qualità della vita che vivono.
Un messaggio pubblicato alla fine del 2009 sui blog jihadisti da parte del leader di AQAP6 Nasir al Wahayshi7 auspicava proprio un cambio di direzione nella guerra santa contro i kuffar8 occidentali; dall’esecuzione di attentati di vasta portata e risonanza mondiale (ma di difficile e complessa preparazione), ad attività di
piccolo spessore rivolte contro le comunità civili, attraverso la preparazione di martirio è detto istishhad
5 Lo shahid (pl. shuhada) è il martire che muore per la causa di Allah secondo l’interpretazione Coranica mentre l’atto
6 Al Qaeda in the Arabic Peninsula – Al Qaeda nella penisola Arabica; si tratta di uno dei gruppi “consorziati” con Al Qaeda, molto attivo in Yemen e Arabia Saudita, fondato nel gennaio del 2009 grazie alla confluenza dei locali gruppi affiliati ad Al Qaeda.
7 Nasir Abdel Karim al Wahayshi, aka Abu Basir, è stato segretario personale di Osama bin Laden durante la creazione di Al Qaeda in Afghanistan. lo stesso Ayman al Zawahiri ha confermato in un video diffuso sul web la nomina di al Wahayshi quale leader del gruppo AQAP dopo la sua formazione
8 Kuffar (sing. Kafir) è il miscredente, spesso tradotto anche come infedele; l’accusa di takfirismo è una delle più gravi
secondo la legge coranica; si tratta di apostasia e violazione dei precetti islamici che prevede anche la morte del colpevole.
ordigni rudimentali ed artigianali che chiunque è in grado di procurarsi ed assemblare. Tutto ciò per un duplice motivo: aumentare in modo esponenziale il numero degli attentati, anche se di piccola portata, coinvolgendo quante più persone possibile nella strategia del terrore qaedista ed al tempo stesso promuovere la guerra santa anche tra quelle persone ineducate e non addestrate presso i campi afghani o pakistani, attraverso l’indottrinamento di personaggi non inquadrabili all’interno di cellule terroristiche stabili ed operanti da tempo sul territorio proprio per la scarsa affidabilità di taluni individui.
Tale nuovo orientamento non è certamente una novità assoluta nel panorama qaedista; già dal 2004 l’ideologo della jihad moderna Abu Mus’ab al Souri9 predicava un nuovo approccio da parte dei fedeli musulmani alla jihad; dopo una prima generazione di combattenti inquadrati gerarchicamente (al-Qaeda durante il conflitto afgano) ed una seconda schierata apertamente contro il nemico (dopo l’11 settembre e nei conflitti in Afghanistan ed Iraq), al Souri proponeva una terza generazione di micro cellule terroristiche, non legate ad inquadramento verticistico, indottrinate sui siti e forum jihadisti, le cui attività sarebbero state di portata ridotta, ma costanti e logoranti per i governi nemici dell’Islam, soprattutto per la difficoltà di rintracciare i singoli componenti delle cellule, vista l’assenza di un collegamento diretto con i vertici di al-Qaeda.
Tale visione delle nuove cellule terroristiche, teorizzata come detto nel 2004 e ripresa nel messaggio di al Wahayshi di fine 2009, conferma che il trend seguito da al Qaeda negli ultimi anni è necessariamente mutato; questo nuova condotta è dovuta all’adattamento resosi necessario in seguito alla perdita di santuari sicuri in Afghanistan e alle nuove offensive antiterroristiche portate in Pakistan e Africa (Yemen e regione del Sahel in particolare); secondo al Wahayshi e come già teorizzato da al Souri, è necessaria una nuova generazione di guerriglieri, non necessariamente indottrinati o addestrati nei campi di Peshawar o Kandahar; è sufficiente che questi individui siano istruiti e resi edotti della possibilità di colpire i governi occidentali con i pochi mezzi a loro disposizione.
9 Mustafa bin Abd al-Qadir Sitt Maryam Nasar alias Abu Mus’ab al Souri (“il siriano”), è considerato l’ideologo di punta della nuova generazione di jihadisti; ha combattuto in Afghanistan (dove ha conosciuto Abdallah Azzam, Ayman al Zawahiri e Osama bin Laden) e Siria (contro il regime locale) ed è stato catturato in Pakistan nel 2005 dopo aver pubblicato quello che è considerato il manifesto della jihad moderna: “Invito alla resistenza Islamica mondiale”. In contrasto con la visione globale di Ayman al Zawahiri, al Souri predica una jihad difensiva e di logoramento dei governi apostati, in attesa di una nuova generazione di musulmani più motivata ed indottrinata che sollevi le masse contro i regimi occidentali.
Il percorso che porta alla radicalizzazione di un individuo è sempre unico e diverso, ma normalmente segue alcune fasi ben definite; in un primo momento, definito della “auto identificazione”, un soggetto già problematico per problemi di natura personale, sociale, economica, inizia l’esplorazione dell’universo salafita (spesso grazie al web), ridefinendo la propria identità in base ai precetti, alla filosofia ed ai valori salafiti. Una seconda fase di “indottrinamento” prevede poi che il soggetto, ormai passato ad una visione più tradizionalista e rigida della propria vita, venga portato (spesso attraverso l’opera di abili manipolatori) ad accettare il punto di vista religioso-politico salafita riguardo la necessità di azioni violente contro i non credenti e contro quei musulmani rei di non rispettare i dettami coranici. Si giunge infine alla fase del “jihadismo”, in cui il soggetto si convince di voler partecipare in prima persona alle azioni contro i soggetti empi ed apostati, assumendo lo status di mujahid10 ed eventualmente di shahid.
2.1 la situazione italiana
Il 12 ottobre 2009 il cittadino italiano di origine libica Mohamed Game, tentava di far esplodere un ordigno all’ingresso della caserma dell’Esercito Santa Barbara di Milano. La deflagrazione feriva gravemente il libico e lievemente il militare che lo aveva fermato.
La storia di Mohamed Game e dei suoi complici11 è abbastanza comune nell’ottica delle periferie suburbane delle metropoli europee; alcuni anni fa fu costretto a chiudere la sua azienda individuale a causa di difficoltà finanziarie e da allora cercava un lavoro stabile; la situazione familiare era difficile, dato che l’uomo viveva con la compagna italiana e 4 bambini in un piccolo appartamento di edilizia popolare. Era praticamente sconosciuto anche alla comunità islamica e non era solito presentarsi regolarmente alla preghiera del venerdì in Moschea. Queste informazioni e l’assenza di collegamenti evidenti con organizzazioni terroristiche operanti in Italia, permisero di ipotizzare la presenza di un terrorista fai da te che anche in Italia non risulta essere un fenomeno del tutto nuovo.
Il nostro paese infatti ha già affrontato storie e modus operandi simili, come a
10 Mujahid (p. mujaheddin) viene comunemente inteso come un combattente per la jihad, di cui ha la stesa radice trilittera (J-H-D); nell’uso comune viene spesso indicato come un guerriero che combatte sia per la propria religione che per la popria patria.
11 Mohamed Imbaeya Israfel e Abdel Aziz Mahmoud Kol, rispettivamente libico ed egiziano, avevano aiutato Game a
procurarsi l’esplosivo e lo avevano accompagnato verso l’obiettivo del suo attentato
Modena (2003) ed a Brescia (2004), quando il Giordano Mohammed al Khatib e il marocchino Moustafa Chaouki tentarono di immolarsi rispettivamente nei pressi di una sinagoga e di un fast-food alla guida di veicoli riempiti con bombole di gas di petrolio liquefatto (GPL).
Ma sono del 2001 i primi attentati compiuti tra l’altro da un “convertito” italiano ad Agrigento12. Le vicende di questi singoli personaggi dimostrano che anche in Italia esiste da tempo un terrorismo “individuale”, di livello meno complesso ma non per questo meno pericoloso, il quale si ispira in maniera grezza e generalizzata all’ideologia ultra-fondamentalista-jihadista rappresentata dalla nebulosa di al-Qaeda.
Anche negli ultimi anni non sono mancati riscontri investigativi simili, seppur, fortunatamente senza l’esecuzione di attentati; nel 2010, al termine di un’attività investigativa durata più di un anno, due studenti universitari marocchini13, residenti a Perugia sono stati espulsi dal nostro paese per motivi di sicurezza dello Stato e di prevenzione del terrorismo. Le indagini della Digos di Perugia hanno evidenziato pericolosi legami dei due soggetti con estremisti islamici della jihad. Si tratta di individui che accolgono l’appello alla “guerra santa” lanciato dalle organizzazioni estremistiche, si organizzano autonomamente, come singole cellule con “propensione a compiere anche eclatanti atti estremi”.
Sempre nel 2010 ma a Napoli, Ryad Hannouni, cittadino francese di origine algerina, è stato arrestato perché ritenuto collegato con gli allarmi terroristici di fine anno a Parigi; in possesso dell’uomo, che si muoveva clandestinamente nella città partenopea, è stato trovato un kit per la fabbricazione di ordigni esplosivi; Hannouni aveva inoltre i recapiti telefonici di altri tre individui algerini arrestati in Francia nei giorni successivi a seguito dei continui allarmi per attentati nella capitale francese.
E sono dei primi mesi del 2012 gli ultimi arresti a Brescia14 e Pesaro15, più varie perquisizioni in tutta Italia relative ad una rete di jihadisti attivi su internet e che
12 Massimo Quaranta, pregiudicato agrigentino, convertito all’Islam fece deflagrare un ordigno a gas al tempio della Concordia di Agrigento e un altro nella metropolitana di Milano; altri due ordigni simili vennero rinvenuti nei pressi del Carcere e del Tribunale, sempre ad Agrigento. In tutti i casi furono trovati dei teli bianchi con scritte inneggianti al jihad e ad Allah.
13 I due espulsi sono Mohamed Hlal e Ahmed Errahmouni rispettivamente di 27 e 22 anni; nell’operazione sono stati
interessati anche altri sei studenti dell’Università di Perugia, quattro marocchini, un tunisino ed un palestinese.
14 Mohamed Jarmoune, marocchino di 23 anni è stato arrestato in quanto progettava su internet un attentato contro la sinagoga di Milano; il giovane, esperto di informatica aveva creato dei gruppi “chiusi” sul social network di Facebook
traduceva e pubblicava sul web documenti e scritti di Imam radicali oltre ad inneggiare alla jihad contro i governi occidentali. Infine, nel mese di settembre due giovani salafiti libici sono stati espulsi dal nostro paese perché avrebbero intrapreso un’attività di propaganda terroristica volta alla preparazione di attentati sul suolo italiano16
Dalle risultanze investigative di questi ultimi episodi in Italia, si evidenziano alcuni tratti comuni: le reti che questi soggetti avevano costruito erano molto autoreferenziali, puntavano ad una formazione individuale attraverso la frequenza di siti web vicini ad al-Qaeda, per acquisire nozioni sulla realizzazione di ordigni o la messa in atto di azioni con finalità di terrorismo.
Le indicazioni fornite dai recenti rapporti di intelligence inoltre, confermano un’evoluzione radicale ma costante dell’attività terroristica di matrice islamica anche nel nostro paese, complice la frammentazione estrema dei gruppi storicamente presenti sul territorio nazionale e la nuova linea di devolution del terrore auspicata dai leader mondiali di al-Qaeda e recepita anche dalle organizzazioni operanti in Italia.
Il panorama islamista in Italia è sempre stato caratterizzato dalla presenza di circuiti estremistici di ridotta entità ed estrema fluidità, spesso guidati da leader carismatici che hanno fatto del nostro paese un retroterra logistico per l’approvvigionamento dei fondi necessari al finanziamento di al-Qaeda, piuttosto che un territorio di scontro frontale.
La realtà attuale invece prevede la presenza sul territorio di propalazioni di al- Qaeda soprattutto grazie al circuito mediatico-digitale, che permettono un continuo dibattito sulla jihad e un addestramento ai rudimenti del terrorismo su blog e forum compiacenti.
Da un punto di vista strettamente investigativo queste nuove cellule composte di singoli non inquadrati in strutture terroristiche classiche, spesso senza pregiudizi
penali pregressi e senza aver effettuato viaggi nei campi di addestramento
dove scambiava materiale e documenti per l’assemblaggio di ordigni artigianali; sul suo computer è stato inoltre rinvenuto un sopralluogo “virtuale” della sinagoga oggetto dell’attentato al fine di aggirare il servizio di sicurezza.
15 Andrea Campione di 29 anni è un convertito all’Islam con il nome di Abdul Wahid al-Siquili; il giovane, in contatto con Jarmoune e con altri jihadisti sul web, aveva in programma di andare in Marocco per poi dirigersi in Afghanistan e compiere la sua jihad personale.
16 I due giovani erano ospiti a Roma dove avevano ricevuto cure a seguito di ferite riportate durante il conflitto in Libia . I due salafiti avevano accelerato la pianificazione di alcuni attentati intesi come vendetta per il film blasfemo sull’Islam che era stato pubblicato in internet pochi giorni prima
jihadisti, sono difficilmente individuabili. L’attività di intelligence classica viene frustrata proprio dall’assenza di comportamenti canonici da parte di questi soggetti, che spesso non hanno comunicazioni (telefoniche o elettroniche) con altri individui all’attenzione degli investigatori, non presentano visti di ingresso in paesi considerati “a rischio” o altri indicatori che possono allertare i soggetti preposti all’attività di controllo.
2.2 il fenomeno dei convertiti
Il carattere della transnazionalità ed il fenomeno dei “convertiti” all’Islam rappresentano gli sviluppi più recenti del terrorismo internazionale di matrice jihadista. L’Islam come religione, è un veicolo di attrazione diversificato che attira le masse dal punto di vista spirituale, politico e umanitario. L’aumento dei musulmani nel mondo è un fenomeno comune anche in occidente, dall’America all’Europa, con ritmi di crescita simili. Un recente studio pubblicato nel Regno Unito, ha stimato in cinquemila i britannici che si convertono all’Islam ogni anno; le conversioni sono aumentate vertiginosamente negli ultimi dieci anni e stimate attualmente in centomila. Il trend britannico, è in linea con la situazione di altri paesi europei, come Germania e Francia, dove i convertiti all’Islam sono circa quattromila l’anno.
La centralità dell’Islam nel dibattito pubblico degli ultimi anni, avrebbe risvegliato grande curiosità e interesse verso una religione che continua ad attrarre fedeli in tutto il mondo. Secondo Azzam Tamimi17, la ragione per cui le conversioni all’Islam aumentano di anno in anno è che si tratta di una religione che offre risposte un po’ per tutti; secondo alcune ricerche, l’età media dei convertiti è di
27 anni. I soggetti che diventano musulmani affermano che prima della conversione non sentivano di avere uno scopo nella vita, di sentirsi perduti. Chi si converte ritiene inoltre che alcuni comportamenti immorali siano ormai accettati come normali nelle società occidentali, dominate dalla cultura secolare e dal declino della religione. In Italia sarebbero circa quattrocento le persone che ogni anno pronunciano la shahada, la testimonianza di fede nell’Islam. Un dato
attendibile è quello che concerne la grande moschea di Roma, dove annualmente si convertono circa 150 italiani18.
17 direttore dell’IIPT, Institute of Islamic Political Thought di Londra.
Le conversioni avvengono in diverso modo; c’è chi intraprende un viaggio (magari una vacanza) in un paese arabo e torna trasformato dal contatto diretto con la religione Islamica; c’è chi si converte in prigione, dove molti detenuti trovano conforto nella fede; c’è chi avverte il disagio di vivere in una società in cui non si riconosce più e di cui vede traditi i valori fondanti, rivolgendosi all’Islam per riceverne un senso di sicurezza. È evidente che durante questo processo possono esserci deviazioni dal messaggio originario della religione islamica; predicatori salafiti o Imam radicali possono utilizzare questo disagio per instillare credenze e dogmi che si rivolgono contro il sistema di valori occidentale.
Il dato che più preoccupa le forze di polizia è quello della possibile estremizzazione dei convertiti all’Islam (va ricordato l’attentato di Londra del 2005);
secondo stime dell’intelligence europea, circa l’8% dei jihadisti attivi arrestati in Europa è convertito. A conferma di questi numeri, vanno citati alcuni esempi: la belga Muriel Degauque, è stata la prima shahid convertita, facendosi esplodere al passaggio di un convoglio militare statunitense in Iraq; il convertito tedesco Erin Breininger di 21 anni, ucciso in Afghanistan nel 2010, lanciava minacce video di futuri attacchi contro la Germania; il 30 settembre scorso 20 cittadini britannici e tedeschi, sono stati arrestati in Pakistan dopo essere stati addestrati nella regione del Waziristan da istruttori di al-Qaeda, mentre erano in procinto di commettere attività terroristiche simultanee in diverse capitali europee, tra cui Londra, Berlino, Madrid, Parigi e Roma.
18 I dati sono considerati epurati dalle cosiddette conversioni “a scopo matrimoniale”, in cui un soggetto assume la fede
del fidanzato/a a causa della necessità di celebrare il rito religioso del matrimonio.
3. MATRICE RELIGIOSA
Appare oggi evidente che il jihadismo non può essere compreso senza averne prima identificato il nucleo religioso, a prescindere da come questo venga poi adattato agli scopi dell’utente finale. Tutte le sfumature dello sfaccettato universo jihadista sono caratterizzate infatti da fondamentali principi dottrinali non servono solamente a definire ed elaborare le strategie, ma costituiscono sopratutto una fonte importante di collegamento e comunanza per il credente musulmano. Gli sforzi compiuti sui siti web jihadisti per difendere le azioni intraprese attraverso il ricorso alla Sacra Scrittura riflette questo ruolo di correttezza dottrinale.
Mentre lo studio dell’ideologia jihadista non può fornire un preavviso sicuro per le future azioni dei singoli, può però aiutare a definire gli obiettivi finali dei gruppi jihadisti. L’ondata di militanza islamista, una volta rappresentata principalmente da al-Qaeda è ormai una struttura non più monolitica, che oggi abbraccia strutture e tendenze ideologiche diversificate. Tale tendenza alla fazionalizzazione del conflitto asimmetrico è fortemente contrastata da un elemento centrale dell’ideologia jihadista che definisce invece l’unità del suo scopo. Questa caratteristica centrale è religiosamente interpretata – una missione salvifica per liberare l’umanità dalla sua traiettoria disastrosa, caratterizzata dal rifiuto del Tawhid19.
Il comune denominatore delle persone che percorrono il cammino della radicalizzazione sino a divenire strumento di morte in nome di una religione di pace è quindi la distorsione di una ortodossia religiosa. Il concetto di Tawhid al hakimiyya (identificazione della sovranità indivisibile in Dio) viene infatti sfruttato per condannare la separazione che l’occidente fa tra potere temporale e secolare, portando (secondo la retorica jihadista) ad una “paganizzazione” della società, che
raggiungerebbe il suo apice nella forma di governo della democrazia20
19 Inteso genericamente come concetto di unicità divina, viene spesso tradotto come monoteismo; si tratta di un tema centrale dell’Islam, secondo cui l’unicità di Dio ne impone il rispetto in tutte le questioni della vita umana, dovendo essere il Suo comando l’unico da rispettarsi (escludendo quindi il rispetto per le norme laiche che non si conformano ai principi dettati da Dio)
20 Il governo democratico prevede la possibilità di elezione dei governanti da parte dei cittadini, nonché la creazione di norme che vengono votate dal popolo attraverso i propri rappresentanti parlamentari, contrariamente alle disposizioni della legge coranica.
La visione salafita dell’Islam, di derivazione sunnita21, rivendica infatti la purezza di chi interpreta la sua vita secondo le scritture ed il comportamento degli “al salaf al sahih” (i pii antenati, compagni del Profeta Maometto); non si tratta solo di una fede religiosa, ma di un vero e proprio modus vivendi in concordanza con i dettami religiosi forniti dal Profeta, che riguardano tutti gli aspetti della vita umana, da quello religioso a quelli etico e sociale.
Si rifiuta completamente la modernizzazione e il miglioramento apportato alla società nel corso del tempo, arrivando anche a negare la legittimità dei governi laici che seguono leggi emanate da uomini, rispetto alla guida suprema ed infallibile del Corano e delle altre fonti del diritto islamico22 cui si affidano i salafiti.
Il salafismo in senso ideologico fu fondato nel XIII° secolo da Ibn Taimiyyah23, teologo fondamentalista che per primo auspicò un ritorno alle fonti dell’Islam, condannando tutte le innovazioni (bid’a) introdotte dal progresso scientifico, responsabili, secondo Taimiyyah del declino dell’Islam. Nel XVIII° secolo fu Muhammad Ibn Abd al Wahhab24 a riprendere le idee di Ibn Taimiyyah, facendone un movimento politico-religioso che si legherà indissolubilmente alla nascente dinastia saudita dei Saud. Infine, il salafismo inteso come espressione ideologica venne sviluppato in senso più nazionalista dal siriano Rashid Rida25 nel XIX° secolo. Fu poi un discepolo di Rida, Hassan al Banna26, il futuro fondatore dei Fratelli Musulmani a porre le basi in Egitto per quella che diverrà
un’interpretazione restrittiva e rigida della parola del Profeta.
21 La corrente islamica sunnita deriva dalla “sunna”, ovvero consuetudine (riferita al comportamento ed ai detti del Profeta Maometto). Tale orientamento, maggioritario nel mondo islamico, si contrappone alla visione sciita, secondo cui la guida della comunità islamica (Ummah) dovrebbe spettare alla discendenza della figlia e del cugino del Profeta, ovvero Fatima ed Alì.
22 Oltre al Corano, tra le fonti del diritto islamico vanno annoverati la Ijma (il consenso della comunità) la Sunna
(consuetudine) e la Qiyas (l’analogia). La legge coranica nel suo complesso viene indicata con il nome di Shari’a.
23 Ibn Taimiyyah è stato il primo pensatore islamico a formulare il concetto di “fondamentalismo”, auspicando il ritorno all’applicazione integrale delle norme coraniche. È stato inoltre sostenitore accanito della Jihad, che nel pensiero di Taimiyyah è considerato come il sesto pilastro dell’Islam.
24 Muhammad Ibn Abd al Wahhab, fondatore del movimento politco/ideologico del wahhabismo è considerato come il “difensore dell’Islam puro”; di corrente hanbalita (rigida applicazione delle fonti coraniche), al Wahhab a legato la fortuna del suo pensiero al legame con la dinastia saudita dei Saud; concetti pregnanti del pensiero wahhabita sono un ritorno all’interpretazione pedissequa della parola coranica e all’esempio del Profeta, nonché una “semplificazione” dei precetti e degli obblighi per il musulmano medio.
25 Muhammad Rashid Rida, intellettuale siriano di stampo tradizionalista, contrastò duramente le innovazioni delle società islamiche derivate dal processo di colonizzazione avviato alla fine del 1800; condanna della laicizzazione dei governi e dell’eccessivo misticismo dei sufisti sono state le caratteristiche del suo pensiero ideologico, volto ad un ritorno alle fonti dell’Islam da armonizzare con la concezione di uno stato moderno.
26 Hassan al Banna è stato un importante leader politico e religioso egiziano, ideologo e fondatore della Società dei
Fratelli Musulmani, uno dei più influenti movimenti politici e religiosi del mondo
Particolare attenzione va riservata a Sayyid Qutb27, pensatore ed autore ritenuto fondamentale nella galassia dell’islamismo militante; Qutb fu uno dei massimi esponenti dei Fratelli Musulmani degli anni ‘50-’60, autore di “Pietre miliari28”, libro considerato come il manifesto del salafismo radicale moderno. Il testo, che fu scritto quasi interamente durante la permanenza dell’autore nelle carceri egiziane, analizzava la società egiziana e musulmana in generale, affermando che nessun individuo poteva a pieno titolo dichiararsi credente, finché non si fosse allontanato dalla società della jahiliyyah29 fondando un’avanguardia che avrebbe dovuto assumere nel lungo periodo il controllo della società secondo le regole coraniche e della sunna del Profeta.
In sintesi il salafismo incarna la corrente reazionaria attivista, puritana e populista dell’Islam. Contrario al nazionalismo, al socialismo ed alla democrazia (tutti concetti laici), propugna una Ummah – la comunità dei credenti, la “nazione musulmana” – condotta da un Califfo come ai tempi del Profeta.
“Primo, il nostro dogma è il dogma dei Salaf, tra cui i compagni del Profeta, coloro che lo hanno seguito e quelli che sono venuti dopo di loro, tutti guidati da Muhammad, il primo tra gli antenati e il messaggero della retta guida”30. Tale convinzione sarebbe supportata da uno degli Hadith31, in cui Maometto asserisce che “la gente migliore è quella della mia generazione, quelli che verranno dopo di loro e quelli che verranno dopo questi”.
Secondo la visione salafita, il mondo islamico ideale è quello riconducibile alle tre generazioni di compagni del Profeta; successivamente, le modifiche alla struttura sociale e religiosa islamica introdotte dai Khalifa32 e dai vari governanti
succedutisi, avrebbero portato i fedeli ad una erronea interpretazione delle parole
27 Sayyid Qutb deve la sua formazione ideologica ad un viaggio negli USA nel 1948. Tornato in Egitto Qutb critica aspramente il modello di vita occidentale, considerato vuoto, basato su principi politeistici e contrario quindi alla religione islamica. Nel 1952 collabora al colpo di stato degli Ufficiali Liberi guidati da Gamal Abd al Nasser con la speranza di un ritorno alle radici islamiche della società egiziana. La sua carcerazione ne fa un martire ed un esempio per i salafiti più estremisti che si rifaranno a lui ed ai suoi scritti per fondare i primi gruppi jihadisti in Egitto.
28 Ma’alim fi al-Tariq, spesso tradotto anche come “Segnali lungo la via” venne pubblicato nel 1964 e da allora è considerato uno dei testi arabi più influenti dell’ultimo secolo. È divenuto il manifesto di quella che viene comunemente definita “ideologia qutbista”, da cui hanno successivamente tratto esempio i movimenti jihadisti nati negli anni ’70 in Egitto e poi divenuti transnazionali
29 Periodo preislamico associato all’ignoranza dal punto di vista religioso (politeismo)
30 Estratto dall’atto di fondazione dell’organizzazione terroristica algerina “Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento” successivamente evoluta nella sigla AQIM.
31 Gli Hadith sono raccolte di tradizioni orali relative alle parole ed ai comportamenti adottati dal Profeta Maometto; le varie raccolte vengono utilizzate dalle diverse scuole di pensiero islamico per determinare il corretto modo di vita di
un musulmano.
32 Khalifa è il califfo o vicario, erede e successore di Maometto alla guida della Ummah Islamica.
di Maometto. Principio rigidamente osservato è quello dell’interpretazione ed applicazione rigorosa delle scritture e della legge islamica (la Shari’a33). L’orientamento salafita moderno fornisce una tra le migliori armi per il proselitismo e l’indottrinamento delle nuove generazioni; tra i giovani che vivono in nazioni povere, poco alfabetizzate ed in cui sono evidenti le disparità praticate tra la classe abbiente e la maggioranza della popolazione, il messaggio semplice ed universale che suggerisce il salafismo, conferisce un senso di superiore moralità a chi lo abbraccia contro l’evidente corruzione morale ed etica di chi governa o detiene il potere.
Anche in occidente, ove è palese una evidente crisi di valori a livello socio culturale e religioso, dovuto anche in parte al multiculturalismo che viene oramai espresso dalle principali metropoli mondiali, il salafismo attecchisce tra quelle classi poco abbienti e “rifiutate” nel loro tentativo di integrazione sociale, mostrando come tutti i problemi delle culture occidentali siano riconducibili alla mancanza di una guida divina (Allah) nella vita di tutti i giorni.
3.1 Jihad
L’argomento che sicuramente differenzia la visione salafita dal modus vivendi dell’Islam moderato riguarda il principio della jihad intesa erroneamente come “guerra santa”.
Traducibile letteralmente come “lotta o sforzo” intesa come attività di ricerca della propria spiritualità contro gli istinti più bassi dell’uomo (jihad maggiore) o come tentativo di far tornare all’Islam tutti coloro che se ne sono allontanati (jihad minore), la jihad, oltre che religione, è anche un corpus di dottrina giuridica; tutti i manuali di diritto islamico includono una parte intitolata kitab al jihad (libro della jihad) o simili. In questa parte della dottrina sono enumerate le disposizioni relative alla condotta della guerra: trattamento dei non belligeranti, cessazione di ostilità, dichiarazione di guerra ecc..
Ma la jihad è molto più di questo; in senso sociale comporta un obbligo collettivo
(fard kifaya) di testimoniare la propria fede e impegnarsi a convertire con la parola e le azioni quelli che vengono considerati apostati perché non credenti in
33 è una parola araba che significa “via” o “sentiero” ed indica la legge divina, ovvero una serie di comportamenti ritenuti virtuosi secondo il profeta. Secondo la definizione moderna La shari’a rappresenta il corpus delle leggi Islamiche che regola la vita pubblica e private dei musulmani; essa consiste di quattro fonti normative: il Corano, la Sunna (consuetudine) e due fonti complementari che sono la Ijma (il consenso della comunità) e la Qiyas (l’analogia).
Allah. Esiste poi un dovere individuale (fard ‘ayin) per ogni musulmano pio, nel ricercare attraverso la jihad interiore (o jihad maggiore) un miglioramento spirituale contro le bassezze dei propri istinti animali.
Le origini della jihad risalgono alle popolazioni nomadi pre-islamiche e politeiste che vivevano la loro esistenza con il saccheggio e la guerra. Dopo questo periodo comunemente detto della jahiliyyah o dell’ignoranza, e a seguito della Rivelazione ricevuta dal Profeta, le attività belligeranti vennero indirizzate contro i nemici esterni, quelli che sono i nemici della comunità di Allah.
Il versetto del Corano chiamato “della spada”34 recita : “quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri ovunque li troviate. Prendeteli, assediateli e tendete loro ogni sorta d’insidie. Se invece si convertono, pregano e pagano la decima, lasciateli in pace, perché Dio è indulgente e misericordioso”. Questo è uno dei fondamenti su cui gli ideologi della jihad moderna fanno affidamento per giustificare la lotta senza quartiere accordata al “non-musulmano”.
Ma i jihadisti moderni non possono essere considerati gli eredi di coloro che all’epoca o prima di Maometto compivano razzie e lottavano contro le tribù limitrofe per il controllo del territorio; innanzitutto perché non vengono rispettate le regole (ahkam) classiche che proibivano, ad esempio, di uccidere i non belligeranti (i.e. i civili) e che consideravano immorale ed illegale il suicidio.
Abili pensatori ed ideologi dell’età moderna e contemporanea hanno invece sviluppato i concetti della jihad estrapolando le parti ritenute vantaggiose e deliberatamente omettendo quelle di cui manca una giustificazione ideologica; il suicidio viene quindi considerato come uccisione in battaglia e quindi alla stregua del martirio (istishad) e la jihad minore, considerabile come una lotta per convincere gli “infedeli” a ritornare alla fede in Allah, viene invece ammantata di tratti classicheggianti e inneggianti alla battaglia ed all’uccisione.
Ma l’elemento teologico di rottura tra la visione della jihad classica e quella odierna incamerata dai movimenti salafiti, è quello che, secondo la giurisprudenza musulmana classica, per associare la jihad alla guerra (in particolare nella sua versione offensiva) è richiesta l’autorizzazione del rappresentante legittimo della comunità musulmana, tradizionalmente
identificato con il Califfo (Kemal Atatürk ha abolito il Califfato nel 1924,
34 Sura 9 del Corano, intitolata “del pentimento”; il versetto citato è il numero 5.
interrompendo definitivamente la lunga successione di sultani ottomani inaugurata nel 1517). Di conseguenza, a prescindere dalle diverse interpretazioni ideologiche (sunnite o sciite), il fatto che la jihad venga dichiarata da figure autocratiche appartenenti alla costellazione dell’islamismo radicale è palesemente in contrasto con i principi e la tradizione della religione musulmana.
3.1 Giustificazione ideologica
Nel dicembre del 2004 iniziò a circolare sui siti internet jihadisti un testo di notevole ampiezza e inusuale per stile e contenuto. Si intitolava “appello alla resistenza islamica mondiale” era lungo più di 1600 pagine e aveva come autore un attivista della galassia islamista radicale, un ingegnere nato nel 1958 ad Aleppo (Siria), Mustapha Sitt Mariam Nassar35, più noto col nome di battaglia di Abu Moussab al Souri (il siriano). Il testo è divenuto punto di riferimento di quella generazione di persone di fede islamica o convertite, che dopo gli attacchi del World Trade Center di New York nel 2001 hanno abbracciato la causa della jihad violenta come risultato di una protesta ancora generale e nebulosa nei confronti del capitalismo americano, considerato il male supremo e la causa dei problemi del mondo attuale.
Contro le azioni spettacolari, politicamente più rischiose, Al Souri promuoveva un logoramento dal basso dell’occidente infedele e dei suoi complici musulmani apostati, a partire da cellule terroristiche autonome impegnate in azioni graduali che avrebbero permesso di allargare la cerchia dei simpatizzanti e costruire progressivamente una contro società in grado di venire a capo dei singoli regimi.
Il quarto capitolo dell’opera di al Souri si intitola “teoria militare” e rappresenta l’essenza del pensiero ed il suo compendio. L’autore distingue tre scuole all’interno della jihad in corso: la prima, piramidale e centralizzata; la seconda a fronte aperto e infine la jihad individuale portata avanti da piccole cellule terroristiche; secondo al Souri è quest’ultimo modello ad essere teorizzato e difeso
come il più adatto ad assicurare il trionfo dell’Islam sulla terra.
35 Al Souri è considerato da molti l’esponente di maggiore spicco dell’ideologia jihadista moderna mondiale. Nel 1987 lasciò la Spagna dove risiedeva per Peshawar dove incontro Abdullah Azzam, padre del movimento arabo -afgano. Combatté in Afghanistan contro l’esercito sovietico e conobbe Osama bin Laden di cui divenne consigliere. Trasferitosi a Londra nel 1994 creò la rivista Al Ansar unitamente ad Abu Qatada al Filistini. Tornò a combattere in Afghanistan nel 1997 e fu catturato dai servizi di sicurezza pakistani a Quetta nel 2005.
Un attentato è tanto più eclatante se prende di mira una personalità nota o un simbolo materiale conosciuto, diffondendo il panico nel cuore dell’empietà e incitando con l’esempio altri potenziali militanti alla resistenza. La sua dimensione provocatoria e le reazioni che scatena in termini di repressione e violente ricadute anti-islamiche, creano nelle masse musulmane un riflesso di solidarietà che si traduce in un rinnovato slancio dell’ideologia jihadista. Questa, in definitiva, è la versione islamista del principale assioma della dialettica politica dei movimenti europei d sinistra degli anni 70 – il ciclo di provocazione – repressione – solidarietà.
Secondo diversi studiosi, il processo di radicalizzazione (il percorso che rende il soggetto disponibile a commettere atti di violenza per ottenere un riconoscimento politico/ideologico/religioso) è l’insieme di cambiamenti nei principi, sentimenti e comportamenti che portano un soggetto nella direzione della violenza. Il percorso che caratterizza la nascita di un nuovo shahid prevede tre tappe fondamentali: il ritorno all’Islam, la radicalizzazione del proprio pensiero e la militanza jihadista. Va ricordato che queste definizioni sono comunque generiche ed ogni analisi va compiuta sul campione umano singolo e sulle dinamiche individuali che scatenano questo fenomeno. Le condizioni di partenza sono infatti il fattore scatenante su cui viene innestato un altro sistema di convinzioni, estremistico, diverso da quello prevalente e comune alla società in cui si vive. Un individuo che intraprende il cammino per la radicalizzazione e successivamente per l’istishad36 ha necessità di una forte base ideologica, fornita attraverso una retorica ormai conosciuta e analizzata anche in contesti occidentali.
Viene utilizzata la letteratura islamistica classica imbevuta di riferimenti ideologici arcaici; viene enfatizzato il perenne conflitto tra il bene ed il male, con il “nemico crociato” additato come responsabile del declino della Ummah islamica. L’occupazione del suolo sacro dell’Islam (le truppe americane in Arabia Saudita, l’annosa questione israelo-palestinese, il riferimento all’Andalusia musulmana) e
la deprivazione delle ricchezze dei paesi arabi da parte delle potenze occidentali
36L’istishad è il martirio come testimonianza della fede in Allah, che trae la radice dalla Shahada ovvero la testimonianza di fede (uno dei cinque pilastri su cui si fonda l’Islam).
vengono messe in parallelo con Salah al Din37 e il periodo delle crociate in Terra Santa.
Molti individui percepiscono la società in cui vivono come un organismo competitivo e pericoloso; gli insuccessi e le delusioni a livello economico, sociale e culturale alimentano le convinzioni, fomentate dagli ideologi, che “il nemico” voglia la sconfitta incondizionata dell’uomo musulmano, contrapponendo il dar al Islam al dar al harb38.
Se la povertà e la marginalizzazione sociale rappresentano alcuni tra i principali motivi di radicalizzazione, bisogna tenere conto anche della presenza di terroristi autodidatti che provengono da famiglie abbienti, integrate e socialmente rilevanti nei paesi di residenza. In questo caso, l’ideologia che porta ad abbracciare una jihad personale può venire promossa dal classico disagio giovanile nei confronti della generazione precedente, di cui vengono visualizzati i compromessi, le rinunce, il cinismo al confronto con lo spirito idealistico e immaginifico tipico
della gioventù e che viene richiamato con i riferimenti storici ai tempi del Profeta
37 Salah al Din Yusuf b. Ayyub b. Shadi b. Marwan, meglio noto agli occidentali come Saladino, fu Sultano di Egitto e Siria e conquistò la Palestina e Gerusalemme in particolare dopo la battaglia di Hattin del 1187 in cui distrusse gran parte dell’esercito crociato, aprendosi la strada per riconquistare la Terra Santa.
38 Dar al Islam è la casa dell’Islam, ovvero tutti quei territori in cui la religione di Allah è dominate, in contrapposizione al dar al Harb o casa della guerra, rappresentata dai territori in cui c’è conflitto contro gli stati apostati.
4. RECLUTAMENTO E PROSELITISMO
Si è sinora parlato di più aspetti concomitanti che possono concorrere a vario titolo alla formazione in proprio di un terrorista di matrice jihadista. Restano da analizzare le fonti da cui traggono ispirazione questi individui, in considerazione del fatto che oggi non si segue più un classico percorso di crescita e indottrinamento per la jihad, finendo a combattere in paesi dove la presenza occidentale o di governi apostati locali non permette la restaurazione dei principi dell’Islam nella società.
Diversamente, ad oggi le persone che si riavvicinano alla religione islamica, seguono un percorso più breve, bruciano le tappe dell’acculturamento e della conoscenza di un fenomeno che, prima che religioso, è sempre stato anche sociale e culturale.
Seguire ed imparare il Corano su siti che ne propugnano traduzioni parziali ad uso e consumo di predicatori radicali; chiedere consigli “giuridici” (le fatwa) su internet a personaggi che si autoproclamano autorità nel settore religioso/dottrinario, permette alla miriade di personaggi legati a vario titolo ad al-Qaeda di effettuare quell’opera di proselitismo che diversamente segue altre strade, più dirette e personali.
Notizia recente che conferma le attività di proselitismo ed incitamento al terrorismo di matrice jihadista nel nostro paese è quella del 31 gennaio 2011; in provincia di Catanzaro sono stati tratti in arresto tre venditori ambulanti marocchini39, che effettuavano proselitismo diretto in una moschea “fai da te” di Sellia Marina; uno dei tre era l’Imam della comunità musulmana locale, composta in gran parte di immigrati clandestini; i tre arrestati inoltre attraverso la “navigazione” in internet avrebbero acquisito su forum e blog jihadisti materiale per la costruzione di armi e l’assemblamento di esplosivi, oltre ad indicazioni per rendere sicure le comunicazioni sul web e a software utilizzabili per il sabotaggio
dei sistemi informatici.
39 Si tratta di Mohammed Garouan di 57, Imam della comunità marocchina locale, del figlio Brahim Garouan di 25 anni e di un membro della comunità marocchina di Lametia Terme di 28 anni, Younes Dahhaki.
4.1 Le moschee
Un ruolo centrale per l’esplorazione del mondo islamico in Italia è rivestito dai luoghi di culto presenti sul nostro territorio ed è quindi opportuno fare alcune considerazioni su un argomento oggetto di discussione da anni, riguardo al ruolo che le moschee possono avere nella propaganda dell’estremismo islamico.
E’ indubbia l’importanza che le moschee rivestono per l’Islam non solo sul piano strettamente religioso, ma anche al fine di gestire gli aspetti di natura squisitamente socio – ideologica della vita di ogni comunità islamica, in ossequio al crisma islamico dell’indissolubilità tra religione, stato e società. Allo stesso tempo si può affermare che talvolta esse siano state utilizzate per la diffusione ai fedeli di messaggi propagandistici dai contenuti radicali e dai toni fortemente antioccidentali.
Di fatto, le moschee rischiano spesso di rappresentare il punto d’incontro, il crocevia dei contatti di persone che inneggiano alla jihad con soggetti facilmente influenzabili e in cerca di un’identità personale. Appare quindi evidente che il confine tra libertà di culto ed attività collegate risulti sfumato e oscuro, anche senza pervenire al livello – penalmente rilevante – dell’approntare supporti logistici destinati al sostegno delle attività terroristiche o finalizzati ad una costante e capillare azione di proselitismo.
La proclamazione del takfir nelle moschee, così come pure le attività di promozione dell’arruolamento per la jihad globale, sono tutte pratiche che hanno poco a che fare con la religiosità della maggior parte dei musulmani. Questa tendenza comporta un accrescimento del numero di fanatici ed estremisti presenti sul nostro territorio, che a loro volta, come in uno schema piramidale, indottrinano altri individui sulla necessità di una jihad contro tutti i popoli miscredenti.
Fenomeno particolare sono le cosiddette “moschee garage”, ovvero gli ambienti destinati alla preghiera ma ufficialmente destinati ad uso abitativo o a “circolo culturale”, che risultano ancora più difficili da individuare, a causa della limitata visibilità e dell’accesso ridotto ad un numero minimo di persone.
Quest’ultimo argomento si collega tra l’altro ad alcune differenze essenziali tra la religione islamica e quella cattolica che impone una conoscenza approfondita delle diversità e dei ruoli ricoperti in un luogo di culto musulmano. Il rapporto
diretto tra il fedele ed Allah nella religione islamica non prevede luoghi di culto deputati, figure sacerdotali o gerarchie ecclesiali; l’Imam40 è considerato come colui che svolge una mansione all’interno della moschea, che è quella di guidare la preghiera collettiva dei fedeli. Inoltre, l’Islam non prevede simboli religiosi nei luoghi di culto, che non hanno quindi diversa rilevanza, eccettuati i luoghi santi del culto stesso (la Mecca, Medina, Gerusalemme, ecc.).
Dalla differenza con la nostra cultura millenaria, si evince la necessità di conoscere dettagliatamente i luoghi della religione islamica, al fine di poter evidenziare comportamenti estranei a questa e improntati all’estremismo; appare infatti evidente che i gruppi estremistici che intendono fare proselitismo a favore della jihad, considerino le moschee come il punto di partenza della loro campagna. Ecco perché in Italia, come in altre nazioni europee, attorno alle principali moschee si creano centri d’interesse e spesso anche di contrasto, tra chi predica i fondamenti della religione islamica e chi invece vuole utilizzare un luogo di culto ed aggregazione sociale per scopi di proselitismo al fine formare nuovi mujaheddin.
In una intervista del 2002, l’Imam della Moschea di Carmagnola affermava “la jihad è un obbligo individuale quando un territorio musulmano viene attaccato. E’ un dovere soggettivo per ogni predicatore musulmano incitare i fedeli ad arruolarsi per compiere la jihad”41.
L’arresto dell’Imam della moschea di Ponte Felcino (PG) nel 200842, come le 15 condanne dell’8 luglio 2010 comminate a 25 imputati tunisini, algerini e marocchini accusati di aver fatto parte di un’associazione per delinquere che, attraverso l’opera di proselitismo nelle moschee di viale Jenner e via Quaranta a Milano si proponeva il compimento di atti di violenza in Italia e all’estero per finalità di terrorismo, confermano che, anche a distanza di anni, la moschea è uno dei veicoli preferenziali per il proselitismo e l’incitamento alla violenza ed alla
jihad, grazie alla proiezione di DVD, il divulgamento di documenti propagandistici
40 Letteralmente “colui che sta davanti” ovvero la guida nella preghiera; è genericamente adottata come dizione in tutto l’universo musulmano, anche se a stretto rigor di logica la scuola sunnita non prevede Imam, che sono invece le guide della comunità per gli sciiti.
41 Magdi Allam “Jihad in Italia. Viaggio nell’Islam radicale”. Mondadori 2002. Pag. 14
42 Mostapha El Korchi, 41 anni, marocchino arrestao unitamente a Mohamed El Jari, 47 anni, e Driss Safika, 46, tutti per violazione art. 270 quinqies C.P. per aver ricevuto, e fornito addestramento e istruzioni sulla preparazione e uso di esplosivi, armi e sostanze chimiche a fini di attività terroristiche.
e sermoni inneggianti al sacrificio personale, allo scopo di colpire il “nemico infedele”.
In Europa la situazione appare essere identica, come testimonia la chiusura, nell’agosto del 2010 dell’edificio di Amburgo adibito a moschea e reso tristemente celebre in tutto il mondo perché luogo di preghiera di Mohammed Atta, il capo del gruppo di terroristi suicidi che compirono gli attentati dell’11 settembre 2001. La chiusura è stata decisa perché il luogo di culto continuava ad avere legami con gruppi islamici combattenti in Pakistan e Afghanistan e a reclutare fondamentalisti destinati alla jihad. Nel marzo dello scorso anno un gruppo di militanti che aveva frequentato la moschea aveva fatto notizia facendosi localizzare al confine tra Pakistan e Afghanistan mentre si recava ad un campo di addestramento per “guerrieri di Dio”.
4.2 Prigioni
Le prigioni giocano un ruolo fondamentale nel reclutamento di aspiranti shahid fornendo un ambiente privilegiato per l’indottrinamento e la propaganda contro i valori occidentali, in special modo tra i carcerati nord africani. Il principale strumento di indottrinamento è ricavato proprio dalla frustrazione e dall’alienazione di quelle persone che non sono riuscite ad integrarsi nel tessuto sociale e culturale della nazione in cui vivono.
Il caso più eclatante negli Stati Uniti è probabilmente quello relativo a James Abdul Rahman Cromitie ed Onta Hamza Williams, due dei quattro musulmani arrestati negli Stati Uniti nei primi mesi del 2010 per aver ideato un piano per far esplodere due sinagoghe nel Bronx ed abbattere un aeroplano; entrambi di fede battista, si erano convertiti all’Islam mentre erano in prigione.
Un reclutamento che è sinora avvenuto in molte forme, ma principalmente è consistito nel proselitismo compiuto da cappellani legati a gruppi jihadisti o a loro affiliati; da anni inoltre, le biblioteche degli istituti di pena vengono riempiti di letteratura jihadista ed anche quando ci si attiva per espungere tali letture, ci si trova nella difficoltà di distinguere i testi islamici meramente devozionali da quelli che contengono appelli alla guerra e alla soggiogazione degli infedeli. Un esempio illuminante è quello della distribuzione (caldeggiata sempre da gruppi
fondamentalisti) di testi di Ibn Taymiyya, un dotto islamico del tredicesimo secolo. Questi, illustra la violenza insita nella jihad come uno dei principi centrali dell’Islam affermando tra l’altro “il fare guerra secondo legge è essenzialmente jihad e dato che il suo scopo è che oggetto della religione sia solo Allah e che la Sua parola sia sopra tutto, tutti i musulmani sono d’accordo nell’affermare che chiunque ostacoli questo scopo debba essere combattuto”.
Anche in Europa il processo di radicalizzazione all’interno degli istituti di pena e il proselitismo per la jihad è ormai preoccupazione costante dei governi e dei loro apparati di sicurezza. Nel 2008 l’allora Ministro degli Interni francese Michèle Alliot-Marie presentò un rapporto di 60 pagine sul fondamentalismo nelle carceri in cui veniva descritta la progressiva radicalizzazione islamista delle carceri francesi. La documentazione presentata dal ministero degli interni descrive l’influenza delle origini, ma anche i processi di interruzione della carriera scolastica e di marginalizzazione dei migranti reclusi nelle prigioni francesi. Un insieme di fattori che giustifica il radicamento comunitario della popolazione carceraria e l’odio dei detenuti verso i valori democratici occidentali.
Spesso si tratta di gente che non ha neanche letto il Corano, ma diffonde abilmente frammenti deviati e violenti delle sure43, riprendendo tesi arcaiche e medievali per convertire più facilmente i detenuti.
Secondo alcuni ricercatori francesi se gli elementi radicali vengono raggruppati tutti nello stesso luogo finiscono per cospirare, mentre se vengono dispersi nelle carceri allora rischiano di “contaminare” gli altri detenuti. Converrebbe allora spostarli periodicamente per evitare che questi legami tendano a consolidarsi. Il governo francese ha addirittura redatto una lista di 23 indicatori che permetterebbero di identificare la condotta deviante dei detenuti tra cui l’ostentata diffusione di simboli e sigle ispirate ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), fotografie dei leader qaedisti appese in cella, il rifiuto di passeggiare o di mangiare con i “miscredenti”, e la tendenza a imporre la propria preghiera al
prossimo.
43 Le sure sono paragonabili a dei capitoli del Corano. Il libro sacro dell’Islam è composto da 30 parti dette guz’ e 114 sure numerate che iniziano tutte con la formula detta basmala (“in nome di Allah il clemente il misericordioso”). Essendo il Corano un testo che veniva recitato ai tempi del Profeta (fu redatto solo molto tempo dopo) e della sua rivelazione, i nomi delle sure comprendono delle parole chiave che servivano ai recitatori per ricordare il contenuto del capitolo stesso.
Secondo dati ufficiali in Italia su oltre ventitremila detenuti stranieri, 9.840 risultano di fede islamica anche se almeno seimila non si sono dichiarati in proposito. Il rapporto di 364 pagine, «La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee», realizzato nel 2010 da un esperto di Islam nelle carceri, Sergio Bianchi, ne indica tredicimila.
In alcuni istituti di pena il rischio è basso, ma la radicalizzazione attraverso i8l contatto con detenuti per reati comuni, esiste. A Padova un Imam autoproclamato è riuscito a trascinare i detenuti musulmani verso l’estremismo. Trasferito a Udine e poi a Treviso ha continuato nella sua pericolosa opera di proselitismo.
Un rapporto per la Commissione Europea evidenzia come nel carcere di Bari l’Imam francese Bassam Ayachi e il suo complice convertito, Raphael Gendron, arrestati l’11 novembre 2008 per reati di terrorismo transnazionale, continuavano a complottare. Come emerso, da intercettazioni ambientali i due, all’interno del carcere, stavano forse pianificando attentati all’aeroporto di Parigi e discutevano di come colpire gli inglesi con un attentato sul modello di quello di New York del
2001.
In Italia ci sono circa 80 detenuti per reati connessi al terrorismo di matrice jihadista. Dal 2009 sono stati concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Ad Opera, invece sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo44, che hanno abbracciato la jihad in Afghanistan dopo aver vissuto come extracomunitari nel nostro Paese.
Negli istituti di pena deputati, il regime carcerario dei detenuti per reati inerenti il terrorismo internazionale45 non impedisce talvolta il proselitismo e l’intimidazione; il 18 febbraio 2012 un agente di Polizia Penitenziaria in servizio a Macomer è stato provocato e distratto da un detenuto della sezione AS246, che si è rifiutava di farsi perquisire, mentre un altro ristretto approfittava del momento e colpiva alla testa l’agente con un corpo contundente, provocandogli una
commozione cerebrale.
44 Si tratta di tre esponenti di cellule di al-Qaeda addestrati in Afghanistan e successivamente attivi in Europa per il proselitismo ed il finanziamento a favore del gruppo di bin Laden; i tre avrebbero anche partecipato al conflitto in Bosnia come parte della loro jihad. Tutti i soggetti avevano vissuto in Italia per un periodo di tempo
45 articolo 41 bis c.p.
46 Alta Sorveglianza 2 sezione; è una delle sezioni previste per gli istituti di pena di alta sicurezza.
La Polizia Penitenziaria tenta comunque di perseguire un duplice scopo all’interno degli istituti di pena: mentre si cerca di prevenire la radicalizzazione di nuovi individui, tenta allo stesso tempo di individuare i soggetti che fomentano l’estremismo tra i detenuti. Quest’ultimo fine non è però agevole, essendo difficoltoso distinguere tra moderati, che affermano di provvedere ai bisogni spirituali dei detenuti musulmani, ed estremisti. Comportamenti tipici di questi ultimi, sono i tentativi di assumere ruoli da leader tra i reclusi, ad esempio guidando la preghiera del venerdì o guidando i negoziati con la direzione per conto dei musulmani al fine di ottenere delle concessioni
4.3 Reclutamento “on -line”
Se in precedenza al-Qaeda utilizzava internet per informare le persone ora lo fa per reclutare nuovi jihadisti. La rete del terrore ha ormai cambiato tattica inaugurando una nuova era della guerra contro l’occidente con il reclutamento globale.
Il precedente metodo di reclutamento terroristico, prevedeva la presenza sul territorio di agenti di al-Qaeda che “sceglievano” i soggetti considerati più idonei e li avviavano alle madrase e ai campi di addestramento pakistani per scremare il numero di aspiranti shahid e formare i nuclei di quelle cellule che dagli anni
90 in poi vennero inviati in Europa e negli stati Uniti. Ora, anche e soprattutto vista l’assenza di reclutatori sul campo e considerata l’impossibilità per gli aspiranti jihadisti di recarsi in Pakistan e Afghanistan in campi di addestramento di al-Qaeda, diviene sempre più fondamentale lo strumento digitale, che permette di annullare le distanze e fornisce uno strumento universale per chiunque voglia “studiare” da martire. Decidendo dunque di sfruttare la grande diffusione della lingua inglese e la capacità di internet di raggiungere chiunque, dovunque, al-Qaeda si è appropriata del web come nuovo strumento del cyber terrorismo. Ora, qualunque terrorista può guidare la jihad comodamente dalla poltrona di casa sua.
Seguendo questo trend, nel 2010 l’ala yemenita di al-Qaeda, AQAP, ha pubblicato la versione online di Inspire, la sua prima rivista in lingua inglese. Il numero conteneva un articolo che illustrava il modo in cui qualsiasi musulmano
poteva costruire artigianalmente un ordigno “nella cucina di casa propria con materiali comunemente a disposizione di chiunque”. Il secondo numero spiegava invece in un manuale di 74 pagine come equipaggiare i SUV con affilate lame metalliche capaci di falciare la folla di civili che incontrano sul loro cammino. Secondo alcuni tra i massimi esperti statunitensi è quindi ormai tempo di smettere di pensare ad al-Qaeda come a un’organizzazione terroristica che usa i media e di iniziare a considerarla un’organizzazione mediatica che fa terrorismo. Dagli attacchi dell’11 settembre 2001, video, audio e comunicati del gruppo di Osama bin Laden hanno proliferato su internet. Ora, la rete si è addirittura dotata di una rivista online il cui autore era lo sceicco Anwar al Awlaki; cittadino americano di origine yemenita, tornato da tempo nel paese mediorientale, legato allo psichiatra, Maggiore dell’esercito americano Nidal Hasan, autore nel novembre 2009 dell’uccisione di 13 persone di Fort Hood in Texas. Hasan aveva comunicato con al Awlaki attraverso numerose e-mail ricevendo l’autorizzazione ad uccidere da quest’ultimo. Lo stesso sceicco al Awlaki, era stato responsabile dell’indottrinamento (sempre via internet) di Umar Farouk Abdulmutallab, nigeriano che aveva tentato di farsi esplodere su un volo tra Amsterdam e Detroit il 25 dicembre 2009, come pure della preparazione di tre degli attentatori che colpirono New York e Washington l’11 settembre 2001. Anche in Italia la minaccia jihadista digitale è emersa prepotentemente in quest’ultimo anno, con gli arresti di Mohamed Jarmoune a Brescia e di Abdul Wahid al-Siquili a Pesaro; entrambi i soggetti erano parte di una più vasta rete jihadista che, insieme ad altri componenti disseminati su tutto il territorio nazionale ed anche all’estero, traduceva e divulgava testi radicali di personaggi di spicco della galassia terroristica online; Jarmoune aveva addirittura organizzato all’interno di un social network un gruppo “chiuso”, nel quale venivano scambiati documenti inneggianti la jihad e materiale per l’assemblamento di ordigni esplosivi con sostanze di libero commercio, mentre Abdul Wahid al-Siquili, stava per espatriare in Marocco per poi dirigersi nei paesi mediorientali al fine di effettuare la sua jihad sulla via di Allah.
Al-Qaeda sta quindi cercando di convincere la Ummah musulmana a prendersi la responsabilità di condurre la propria jihad. Vale a dire che, invece di avere dei
mujaheddin che vengono da altre parti del mondo per attaccare gli stati apostati, viene coltivata in proprio una nuova generazione di jihadisti indottrinati sul web. Lo sforzo di al-Qaeda di reclutare individui ha luogo su due livelli, uno ideologico e l’altro pratico. Per quanto riguarda il primo, gli ideologi di al-Qaeda si rivolgono ai circoli più acculturati della comunità musulmana cercando di fare fallire i tentativi dei giuristi islamici moderati di contrastare le idee jihadiste. Il citato secondo numero di Inspire ad esempio includeva un articolo del citato Anwar al Awlaki, che è un’aperta denuncia della nuova dichiarazione di Mardin, ovvero una fatwa pubblicata da un gruppo di giuristi islamici moderati di tutto il mondo per delegittimare l’estremismo e la jihad violenta e promuovere valori di tolleranza fra musulmani e non musulmani.
Per quanto invece concerne il ruolo pratico della jihad, al-Qaeda si rivolge agli elementi più semplici delle comunità islamiche, con un occhio al loro reclutamento per condurre azioni ostili dentro gli stati occidentali. In questo i vari forum, blog e chat jihadiste forniscono suggerimenti pratici su come condurre attacchi senza la necessità di avere armi sofisticate ed un addestramento speciale all’estero. Internet è il medium che offre il santuario ideale per i jihadisti convinti e che rende la loro ideologia più facile da comunicare e di conseguenza più accessibile.
Un altro fattore che facilita la radicalizzazione è il linguaggio. La lingua araba si presta alla narrazione di imprese e gesti eclatanti, ispirando e suscitando una reazione emotiva, che esalta chi legge. Sul web impazzano le melodie inneggianti alla jihad ed esaltano i martiri; i simboli ricorrenti che enfatizzano l’ascesa al paradiso di Allah degli shahid sono presi dai testi sacri e rilanciano un’immagine di vittoria per chi si immola. Il ripetersi ossessivo di immagini di comunione e fratellanza tra le persone che vivono e si addestrano per la jihad fa riecheggiare l’eco dei tempi delle razzie del Profeta e dei suoi compagni, il tutto ad uso e consumo del cybernauta in cerca di identità ed autostima.
5. CONCLUSIONI
I nuovi scenari geopolitici che si prospettano a seguito delle rivolte popolari avvenute in Tunisia, la Libia, Egitto e Siria vanno considerate come il risultato di situazioni socio-politiche interne divenute insostenibili dai ceti più poveri della popolazione da cui è partita la rivolta. Ma le stesse sollevazioni possono anche inquadrarsi in quel conflitto globale che il gruppo di al-Qaeda cavalca da ormai
30 anni contro quei governi considerati “apostati per aver svenduto le proprie risorse agli occidentali, per aver permesso che degli infedeli calpestassero il sacro suolo islamico e per le modernizzazioni adottate che deviano dalla norma coranica più rigida”47. Oltre a provocare apprensione a livello mondiale per i conseguenti nuovi equilibri che si verrebbero ad instaurare in un’area molto delicata dello scacchiere internazionale, ciò potrebbe anche comportare un afflusso nel nostro paese ed in quelli vicini, di nuove generazioni di jihadisti decisi a “colonizzare” e riportare all’Islam le popolazioni europee.
La recente esperienza francese con il caso del giovane di origini algerine Mohamed Merah, radicalizzatosi sul web e responsabile dell’uccisione in momenti diversi di tre militari francesi oltre che di un insegnante e tre bambini di fede ebraica, prima di essere ucciso dai reparti speciali delle forze di polizia transalpine, deve essere monito per tutte le nazioni occidentali riguardo le possibilità che un simile processo di radicalizzazione possa verificarsi in contesti metropolitani ormai da tempo multiculturali, ma oggi anche legati ad un disagio socio economico che viene sfruttato abilmente dai fomentatori d’odio jihadisti.
In Italia gli appartenenti al gruppo capeggiato da Ayman al Zawahiri hanno sempre operato per la logistica ed il reclutamento più che per attività terroristiche contro la nostra nazione; in considerazione dei fattori sopra esposti e del nuovo orientamento proposto dagli ideologi di al-Qaeda (conflitto asimmetrico e trasversale di bassa frequenza in attesa di una nuova generazione di jihadisti), anche il nostro paese non è da considerarsi esente da rischi di attentati, compiuti da micro cellule individuali di terroristi con modalità e scelta di obiettivi
imprevedibili e non inquadrabili in un progetto unitario di lotta ai kuffar.
47 Estratto dall’atto di fondazione del “fronte islamico mondiale per la jihad contro gli ebrei ed i crociati” del 1988 a
firma di Osama bin Laden e Ayman al Zawahiri
6. BIBLIOGRAFIA E RIFERIMENTI ESSENZIALI
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Dott. Boncio, complimenti ottimo lavoro.
Viviamo un tempo decisamente particolare in cui a volte è veramente difficile giudicare tutto quello che accade intorno…Tanta gente rimane allibita dinanzi a fatti cruenti come appunto sono gli atti dei terroristi che pur di raggiungere il loro intento, uccidono…
La jihad, quali altre nuove possibili strategie adotterà? Inoltre, sulla rete, i giovani disorientati a quali rischi vanno incontro?
Nulla sembra lontano e restando a casa si comunica in tempo reale, eppure nonostante questo, il mondo è più vulnerabile, anzi, forse lo è più adesso che non prima quando un conflitto globale appariva un “film di fantascienza”.
Oggi “il nemico delle democrazie ha capito che l’occidente è già nel futuro, mentre i fondamentalisti islamici, vivono nella prospettiva di diventare dei martiri, convinti di poter cambiare il mondo e affermare così il califfato”.
Si comportano come se il tempo nelle loro regioni non fosse mai passato, basta andare in Somalia, giusto per fare un esempio, e vedere Mogadiscio come è stata del tutto distrutta, ci sono solo nuove moschee sorvegliate a vista da i mujaheddin Somali, pronti a sparare contro gli occidentali, “gli infedeli”.
Dopol’11 settembre 2001 ci siamo resi conto che gli jihadisti sono uomini istruiti, hanno frequentato le università europee o americane, sono quindi figli adottivi, in quanto nati e cresciuti in occidente.
Gli jihadisti individuali, le cellule dormienti conoscono la tecnologia ma nello stesso tempo non la utilizzano per non essere facilmente identificabili, oramai sono dappertutto, si mimetizzano diventando difficilmente riconoscibili così da muoversi in maniera libera e strategicamente innocua “negli assembramenti” o manifestazioni in genere.
Avvistano e agganciano gli aspiranti terroristi per poi addestrarli ad essere autonomi…
In effetti si potrebbe dire che c’è una base strategica di terrorismo internazionale nella quale le diverse frange estremiste confluiscono.
Veramente interessante! Complimenti è un doc. da rileggere per focalizzare alcuni punti fondamentali dell’evoluzione di Al-Qaeda.
Buon lavoro!
Un sito originale!